Missioni Consolata - Aprile 2013

massa. Abbiamo gestito quasi un milione di arrivi con la disgrega- zione dell’Unione Sovietica, non posso credere che il governo sia traumatizzato da 60mila rifugiati africani. Vorremmo vedere la de- mocrazia applicata per tutti e non solo per gli ebrei». Per gli abitanti del parco, se un pasto caldo è quasi un’ecce- zione, l’accesso ai servizi sanitari è praticamente impossibile. L’Ong Physician for Human Ri- ghts , Phr, (Medici per i diritti del- l’uomo) è una delle poche asso- ciazioni alla quale si possono ri- volgere i rifugiati. «Il 59% dei no- stri pazienti - racconta Ran Cohen, operatore dell’Ong - ha subito torture e abusi, anche di carattere sessuale, durante il passaggio in Sinai. Phr ha una sede con ambulatorio a pochi minuti a piedi dal parco, nulla a che vedere a confronto dei grandi ospedali privati della zona Sud di Tel Aviv, ma da qui passano ogni settimana centinaia di richie- denti asilo. L’Ong lavora contra- stando quotidianamente le diffi- coltà di un lavoro «scomodo»: aiutare decine di migliaia di per- sone che non sono benvenute a causa della provenienza, della loro religione: «Aiutare i rifugiati - conclude Ran - è quasi un cri- mine in Israele». Cosimo Caridi APRILE 2013 MC 21 MC ARTICOLI coda, gli africani ordinatamente aspettano l’unico pasto caldo della giornata. «La cosa che non ha senso - continua Iris - è che Israele è composto per la mag- gior parte da seconde o terze ge- nerazioni di rifugiati dell’Olocau- sto. Dobbiamo aiutare i rifugiati africani come obbligo verso i no- stri padri, che si sono salvati, che da rifugiati hanno creato uno stato». Shlomo arriva al parco su una bici che traina uno strano carretto, ci sono dentro due pen- toloni: «Più di venti chili di riso bianco, la base dei nostri pasti. Serviamo ogni sera tra i 500 e gli 800 piatti, più di qualsiasi ente di solidarietà in Israele». Levinsky Soup è un gruppo informale di cittadini che si è autorganizzato lo scorso inverno dopo la morte per ipotermia di un rifugiato nel parco. «Non ci è sembrato possi- bile - spiega Shlomo mentre sco- della il riso - siamo rimasti scioccati e come singoli cittadini abbiamo deciso di fare qualcosa. Questo è un paese accogliente, lo è stato con i nostri genitori e noi dobbiamo esserlo con altri». Passeggiando per il parco si ve- dono coperte e buste di plastica piene di vestiti incastrate all’in- crocio dei rami degli alberi. «Israele - continua Shlomo - ha già dovuto affrontare la que- stione dell’immigrazione di

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