Missioni Consolata - Aprile 2013
RESPINTI A FUCILATE Yaki ha finito il servizio militare da qualche anno e ora studia in una grande città europea. Per oltre dodici mesi ha pattugliato il confine meridionale israeliano: «Da lì entrano i terroristi. Sono quelli che hanno fatto scoppiare gli autobus negli anni passati». Yaki non è un estremista di de- stra, né uno sprovveduto facil- mente influenzabile dalla propa- ganda governativa. Nato e cre- sciuto in una famiglia israeliana della media borghesia, a 18 anni è stato catapultato in 36 mesi di servizio militare obbligatorio. «Personalmente - continua l’ex militare - non ho mai sparato contro i migranti, ma ho negli occhi l’immagine di una notte in cui una pattuglia ha iniziato a fare fuoco contro un gruppo di donne. Non ci sono stati morti, ma quando abbiamo parlato con loro ci hanno raccontato che erano state tutte rapite e violen- tate per mesi dai beduini nel de- serto». Le donne di cui racconta Yaki, come la maggioranza degli africani che arrivano in Israele attraversando il Sinai, sono state trasferite in un centro di deten- zione nel deserto nel Neghev, Sud del paese, per essere identi- ficate, seguendo lo stesso princi- pio dei Cie (Centro di identifica- zione ed espulsione) e Cara (Centri di accoglienza richiedenti asilo) in Italia. Dal maggio 2012 a Tel Aviv è stato messo in funzione un nuovo centro di detenzione che, a pieno regime, potrà ospitare fino a 16mila persone nel Ne- ghev. È stato definito, dai pochi a cui è stato permesso l’accesso, «un’immensa prigione di tende e prefabbricati nel deserto». Da ottobre la polizia di frontiera ha iniziato a respingere nel deserto del Sinai i rifugiati africani, un’altra triste analogia con la politica di contenimento all’im- migrazione attuata dall’Europa. LA STORIA DI OSCAR Tel Aviv è la città simbolo della nascita dello stato ebraico, un ag- glomerato urbano dove vivono circa tre milioni di persone, quasi la metà della popolazione israe- liana. Le prime case spuntarono a inizio anni ’40, come periferia di Jaffa, uno dei più antichi e cono- sciuti porti arabi del Mediterra- neo. Con la creazione dello Stato ebraico, nel 1948, si costruirono velocemente i grandi palazzi sulla spiaggia, che tutt’ora ospitano i più rinomati alberghi d’Israele, costituendo uno skyline simile a una grande città della Florida. Le case degli arabi residenti a Jaffa, per lo più scappati durante la guerra del ’48, vennero inglo- bate nel grande processo di urba- nizzazione. Dopo 60 anni Tel Aviv è diventata una delle città più care al mondo per acquistare casa. Si sono concentrati qui so- prattutto i giovani e la parte meno religiosa d’Israele, lasciando Ge- rusalemme agli ultra-ortodossi. A Tel Aviv sorge il più importante aeroporto d’Israele, l’unico che fa atterrare i voli di linea internazio- nali. Ed è qui che diciotto anni fa atterrò l’aereo di Oscar Oliver, 45 ISRAELE 18 MC APRILE 2013 anni, congolese. Oscar scappava da un conflitto lungo e sangui- noso come solo le guerre civili sanno essere. Era portavoce del sindacato studentesco e per le sue idee venne arrestato e perse- guito. Scappò dal Congo all’Egitto «ma non mi andava di passare da una dittatura a un’altra» quindi chiese e ottenne un visto lavora- tivo per arrivare in Israele. Ora è uno dei 60mila africani richie- denti asilo politico residenti in Israele senza documenti. Oscar vive in clandestinità con sua fi- glia, 9 anni, nata a Tel Aviv, ma senza la residenza israeliana. «Il problema - spiega Oscar - è che le autorità gestiscono l’immigra- zione su una base religiosa. Non ci sono leggi che regolamentino l’ingresso di persone in pericolo, questo è il cuore della questione: non c’è una legge per accogliere chi non è ebreo». Dal punto di vi- sta legale, Israele ha firmato la Convenzione di Ginevra, che san- cisce i diritti delle vittime di guerra e più in generale il diritto internazionale umanitario, ma si rifiuta di riconoscere lo status di rifugiato. Oscar, come circa l’ottanta per- cento dei richiedenti asilo afri- cani, vive in una bolla di Tel Aviv, il quartiere di Neve Sha’an, che sorge attorno all’e- norme stazione dei bus. In
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