Missioni Consolata - Marzo 2013

fame e sete. Quelle che raggiun- gono le sponde del Mediterraneo devono affrontare il rischioso viaggio sulle «carrette del mare» verso l’Europa, per poi finire con l’essere rimpatriate, dopo un pe- riodo di detenzione, perché prive di documenti. La sofferenza e l’insicurezza delle donne non finiscono qui. Quelle che sono reclutate in piena regola in diverse parti del mondo per lavori domestici o come badanti, rischiano spesso di essere sfruttate dagli uomini della famiglia che le ospitano. I casi di questa forma di violenza non sono affatto pochi; una vio- lenza subita facilmente dalle donne per l’insicurezza e la fra- gilità che sperimentano, quando sono separate dalle loro famiglie e lasciate sole, bisognose di tutto. Anche la loro posizione giuridica, in quanto immigrate il- legalmente, contribuisce ad ag- gravare questo stato di cose. Il caso forse più raccapricciante e inumano della violenza sulle donne è quello praticato nel Congo ex Zaire durante la guerra. Parlando a Roma nell’ot- tobre 2009 al Sinodo dei vescovi africani, mons. Théophile Kaboy, vescovo coadiutore della città congolese di Goma, ha gelato i giornalisti con i suoi racconti. «I conflitti e le guerre - ha affer- mato - hanno portato, special- mente in Congo, alla vittimizza- zione e alla “cosificazione” della donna. Su migliaia di donne sono state perpetrate, da tutti i gruppi armati, violenze sessuali di massa, come arma di guerra». I loro figli, arruolati con la forza dai gruppi armati, sono stati co- stretti a violentare le loro madri e le loro sorelle davanti allo sguardo impotente dei padri. Tutto questo per incutere terrore nella gente, vincere la loro resi- MARZO 2013 MC 65 MC ARTICOLI stenza, umiliare il nemico, me- diante la violenza sulle donne. Per lenire le conseguenze di traumi tanto brutali, il vescovo di Goma ha affermato che bisogne- rebbe risalire alla causa ultima, quale, per esempio, la crisi di governabilità causata da guerre, saccheggi e sfruttamento anar- chico delle risorse naturali, traf- fico delle armi e assenza di un esercito statale forte e prepa- rato. Naturalmente, l’intervento im- mediato in tali casi è la crea- zione di case di accoglienza per le donne vittime di violenze, case che accompagnino il recupero dal trauma subito. Tuttavia, ha ancora affermato il vescovo di Goma, «la risorsa principale contro la cultura della violenza è costituita dalle donne stesse e dal riconoscimento del loro ruolo da parte dell’intera comu- nità, anche di quella ecclesiale». «Noi vescovi - ha affermato un altro presule, mons. Telesphore Gorge Mpundu, arcivescovo di Lusaka nello Zambia - dobbiamo parlare in modo più chiaro della dignità della donna alla luce delle Scritture e della dottrina sociale della Chiesa». È proprio questo il punto centrale per arrivare a una presa di coscienza della dignità della donna, quella cioè di lottare contro idee e tradizioni che la umiliano. Esempi di umiliazione, dettati da tradizioni disumane, non man- cano. In alcuni paesi la discrimi- nazione della donna non è limi- tata solo al mondo del lavoro, ma già prima della nascita si in- dividuano gli embrioni femminili per eliminarli. Tale drammatica situazione si verifica special- mente in Cina e in India, al punto che l’attuale livello delle nascite maschili, anziché alla media di 105 maschi per 100 femmine, si attesta rispettivamente a 121 e 112 per 100 femmine. Tale disli- vello è dettato in Cina dalla poli- tica demografica del figlio unico, ma sia in Cina sia in India anche dalla tradizionale preferenza culturale per i maschi a scapito delle donne. Questa tendenza è pure presente nei paesi del Cau- caso, come Azerbaigian, Georgia e Armenia, e nei Balcani. Ma c’è di peggio. Una notizia ri- portata domenica 26 giugno 2011 dal giornale indiano Hindu- stan Times e ripresa da altri quotidiani, riferisce che se prima in alcune parti dell’India esisteva l’infanticidio o l’abbandono di bambine e poi l’aborto selettivo di feti di sesso femminile, ora si farebbe strada l’intervento chi- rurgico di «genitoplastica», che trasformerebbe in maschietti centinaia di bambine della fascia # Manifestazione contro la violenza sulle donne: 150 sagome bianche rappresentano le donne che sono riuscite a uscire da questo tipo di esperienza, 150 viola rappresentano quelle che non ce l’hanno fatta e sono morte (Torino 8 marzo 2009). # Donna con bambino del Congo RD, vittime di una guerra infinita. © Kate Holt/Shoot The Earth/ActionAid

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