Missioni Consolata - Marzo 2013
48 MC MARZO 2013 OSSIER «S ul piano scientifico, i missionari hanno veramente raccolto tutto ciò che valeva la pena di essere conservato». L’attestazione, tanto insospettabile quanto auto- revole, è di Claude Lévi-Strauss, «mostro sacro» dell’antropologia, scienza sociale di studio dell’uomo sorta nell’Ottocento con un intendi- mento prettamente «laico», se non laicista. Nel suo capolavoro Tristi tropici (1955, Il Saggiatore) Lévi- Strauss riconosce che per quegli antropologi che si recavano (e si recano) in paesi lontani per scoprire la vera natura dell’uomo, l’apporto dei missionari è de- terminante. Attestazione di stima che però non ha trovato molto riscontro nel corso dei decenni succes- sivi dell’antropologia culturale. Ma al di là di questo specifico caso controverso, è in- dubbio che il rapporto tra cultura, editoria e mondo missionario è una pagina significativa delle vicende di quanti hanno dedicato la vita all’annuncio del van- gelo «fino ai confini della terra». Già nei tempi passati la figura del missionario re- stava eloquente e comunque apprezzata in contesti culturali diversi da quelli del perimetro ecclesiale. Ciò avveniva ad esempio nell’Ottocento, quando in- torno al missionario era sorta una specie di «aura d’avventuriero», per cui chi affrontava fatiche e sa- crifici per portare la «Buona novella» in posti e presso popolazioni sconosciuti all’Occidente affasci- nava e conquistava anche quanti con la chiesa nulla avevano a che fare. Questa «buona stampa» degli evangelizzatori ad gentes permane anche oggigiorno, in un periodo in cui la chiesa istituzionale (per di- verse ragioni come i casi di pedofilia tra il clero op- pure i vari Vatileaks ) soffre di un deficit di credibilità che pare scuoterla quasi nelle sue fondamenta. DA SALGARI AGLI ANTROPOLOGI Gli esempi non mancano. Uno scrittore di successo dei decenni passati come Emilio Salgari, «uomo d’av- ventura mancato», secondo il suo biografo Silvino Gonzato (autore di La tempestosa vita del capitan Salgari , Neri Pozza), «pur non avendo nessun afflato religioso, ammirava molto i missionari: ogni volta che i religiosi del don Mazza (il maestro di Daniele Comboni, ndr ) tornavano dalle spedizioni in Sudan, lui li intervistava per il quotidiano per cui lavorava, L’Arena . A suo parere - prosegue Gonzato - i missio- nari erano veri uomini di avventura: ne elogiava lo spirito di sacrificio, la disponibilità ad affrontare fati- che e rischi, li considerava dei veri e propri esplora- tori». Per capirlo basta leggere l’ incipit del colloquio, pubblicato nel 1885, in cui Salgari dialogava con don Luigi Bonomi, uno dei preti mazziani rimasti prigio- nieri del Mahdi in Sudan: «Alto di statura, scarno al- quanto, deve possedere muscoli d’acciaio ritemprati sotto i terribili soli equatoriali. Si riconosce in lui l’uomo energico, risoluto e forte - tre elementi indi- spensabili per chi sfida i pericoli, i cocenti calori e le terribili privazioni del Continente Nero». Se in Salgari si ritrova una laicissima e umanissima ammirazione per l’impeto dei missionari, la storica Lucetta Scaraffia, docente all’università La Sapienza di Roma, rintraccia invece una certa avversione del- l’ambiente accademico, almeno a cavallo tra Otto e Novecento, verso il panorama missionario. Scaraffia evidenzia una sorta di predisposta e volon- taria ignoranza degli antropologi di professione verso il lavoro etnologico dei missionari: «Gli antro- pologi vedono nei missionari dei nemici potenziali perché cercano di trasformare le società indigene in società cristiane, distruggendo usi e tradizioni pre- ziose agli occhi degli studiosi». La realtà, evidenzia con una certa vis polemica la storica piemontese, è ben diversa. E va a tutto vantaggio della caratura culturale degli annunciatori del vangelo: gli eredi di Lévi-Strauss «preferiscono dimenticare che i missio- nari sono venuti per primi in contatto con i popoli in- digeni e che hanno imparato le lingue dei nativi e stu- diato i loro costumi, tenendo diari e scrivendo rela- zioni. […] Questi testi hanno costituito la base - so- prattutto linguistica - con cui poi gli antropologi hanno studiato le stesse popolazioni». STORIE DI EDIZIONI MISSIONARIE In epoca più recente è soprattutto la presentazione dei problemi, delle vicende, di un racconto di prima mano del Sud del mondo, ciò che ha costituito il quid per il quale i missionari hanno trovato spesso ascolto e riscontro nell’ambito della cultura (e dell’editoria). COME LA STAMPA MISSIONARIA È CONSIDERATA NEI SECOLI LA MISSIONE FA CULTURA DI L ORENZO F AZZINI Precursori degli antropologi, che ne apprezzano e utilizzano il lavoro. I missionari fanno «cultura» sulle pagine dell’editoria laica già a fine Ottocento. E oggi i temi missionari spesso «bucano» le vetrine imponendosi nella grande editoria.
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