Missioni Consolata - Marzo 2013
mi hanno ucciso una pecora e posso perdonare, una settimana fa mi hanno ucciso una pecora e posso perdonare, ieri mi hanno ucciso una pecora e posso per- donare. Ma domani me ne ucci- deranno un’altra, e tra una setti- mana, e tra un mese e tra due mesi... Posso perdonare al fu- turo? All’infinito?». Forse il tema del perdono risulta corto, non più sufficiente. Vedevo quegli occhi che mi guardavano con attenzione e ho continuato a parlare: «La lingua ci separa, ma il cuore ci unisce». Dovessi riassumere non saprei che cosa ho detto, ma ho parlato di resistenza e di non violenza attiva. Della necessità di non perdonare i fatti, ma di guarire la ferita che quei fatti producono in noi per poter reagire in modo pacifico e umano. «Purtroppo gli israeliani hanno sofferto molto in Europa e poi anche qui. Ma hanno imparato a reagire con la forza. Sanno com- battere con chi è violento, ma non sanno gestire la non vio- lenza. Rimangono spiazzati. Alla fine preferiscono avere a che fare con Hamas e con la guerri- glia. A ogni colpo rispondono con il pugno duro, ma con quelli che sanno resistere senza essere violenti? Come si fa?». E alla fine, al momento del ri- poso, nessuno si è mosso, e sono invece iniziate delle do- mande a cui ho risposto come potevo. Un prete cattolico che parlava a una comunità totalmente musul- mana. Ma non ci ho neppure pensato. Ero uno che parlava e che imparava. Finita la giornata intensa, due giovani volevano a tutti i costi che andassi anche al loro villag- gio, un po’ lontano di lì. « Insh’Al- lah , se Dio vuole». È rimasto il desiderio. Forse sarà per un’al- tra volta. LA CONCLUSIONE Alla sera, quando eravamo già scesi ad At-Tuwani, l’esercito e la polizia israeliani hanno cattu- rato lo scheich, un pastore molto conosciuto, guida spirituale del villaggio. Stava lavorando alla sua cisterna. Aveva guidato l’invocazione ini- ziale al mattino. Il suo lavoro non era permesso, ma neppure proi- bito. Quando la figlia si interpose tra il papà e i militari e fu colpita, egli si ribellò. Ecco l’accusa: re- sistenza a pubblico ufficiale. Le ragazze della Colomba, subito informate, hanno ripreso la scena e si sono guadagnate an- ch’esse qualche spintone. Non si può fare di più. Intanto la gente, accorsa in buon numero, non ha potuto impedire che se lo portassero via. Lo avevano già messo nella loro camionetta. A quel punto tutti si sono ritirati: i pastori e i soldati. Quando tutto sembrava finito la gente tornò su, si organizzò e terminò il la- voro. Quando lo scheich tornerà dalla prigione troverà la sua ci- sterna, così come lui avrebbe vo- luto realizzarla. Ecco la resistenza pacifica. Gianfranco Testa MARZO 2013 MC 19 MC ARTICOLI # In alto: una protesta pacifica dei palestinesi contro l’occupazione militare delle loro terre nelle col- line a sud di Hebron. # Accanto: una volontaria di Opera- zione Colomba gioca con i bambini palestinesi. # A sinistra in basso: At-Tuwani, pa- dre Gianfranco Testa parla di resi- stenza pacifica ai capi dei villaggi palestinesi sulle colline a sud di Hebron. # Sotto : padre Gianfranco Testa con due volontari di Operazione Co- lomba.
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