Missioni Consolata - Marzo 2013
della cena. Nel pomeriggio c’è un momento di preghiera e di ri- flessione spirituale. La sera, dopo la nuova tornata di farmaci, che sono molto forti, la gente sente presto il bisogno di ripo- sare. La domenica spesso si or- ganizzano escursioni nei din- torni». Nella casa operano volontari e persone che ricevono uno sti- pendio, anche se minimo, come la cuoca, la donna delle pulizie e un’amministratrice tuttofare. Solo due sono le persone che vi- vono 24 ore su 24 nella casa: do- gna Laura e Claudia che accom- pagnano e si prendono cura della vita di circa 20 persone tra adulti e bambini. «La casa vive principalmente di carità e sono molte le aziende, le parrocchie e semplici individui che offrono ciò che è necessario: cibo, vestiario, biancheria, pro- dotti d’igiene personale, qua- derni e giochi per i bambini, me- dicine; ma non gli antiretrovirali, che sono dati dall’ospedale. Sono molte le persone e i gruppi che si ricordano della casa per condividere quello che hanno» ribadisce la responsabile. Esiste, quindi, tutta una parte di Honduras che ha a cuore il pros- simo e che sta alzando la propria voce. Il futuro prossimo dirà se riuscirà a dare un volto nuovo, migliore, al proprio paese. Daniele Biella disponibili negli ospedali, la cura viene iniziata solo con quelle persone che, per condizione fa- miliare, stile di vita, possono ga- rantire continuità. Il problema è che i tre quarti de- gli infettati sono persone senza tetto, che vivono per la strada, e pertanto la loro condizione è di totale abbandono. Molte persone inoltre, una volta contagiate, vengono abbandonate dai fami- liari. «Il virus è ancora visto come uno stigma: molte persone affer- mano che “la malattia è un ca- stigo del Signore per i peccati della carne”; tanti non dicono di avere il virus e non si sottomet- tono a cure, proprio per non do- ver confessare ai propri cari di essere stati contagiati» sottoli- nea la volontaria italiana. Tra le realtà che combattono la stigmatizzazione, dando un ac- compagnamento integrale alle persone infette senza condizioni economiche o familiari ade- guate, c’è Casa Zulema, un cen- tro di accoglienza per malati di Hiv-Aids in un paese a breve di- stanza dalla capitale Teguci- galpa. Qui le persone sono accu- dite e rispettate nella loro di- gnità e ricevono un’alimenta- zione sana ed equilibrata. Casa Zulema prende il nome da una donna morta in ospedale ab- bandonata da familiari e amici. La accompagnò nei suoi ultimi giorni di vita padre Ramon Marti- nez Perez, un sacerdote spa- gnolo che alla morte della donna, nel 1997, decise di co- struire una casa per casi simili. All’inizio essa aveva lo scopo di offrire la possibilità di una morte dignitosa alle persone che si tro- vavano abbandonate in ospedale. Oggi, con i progressi della ri- cerca medica, la casa è diventata principalmente un luogo di recu- pero, in cui la gente apprende le nuove abitudini necessarie per portare avanti la cura con suc- cesso, imparando ad accettare e convivere con la malattia per poi tentare di reinserirsi all’interno della società. A Casa Zulema vivono donne, uomini e bambini senza limiti di età, religione o razza (il 90% della popolazione honduregna è meticcia). «L’unico requisito ne- cessario per alloggiarvi è che il paziente non abbia atteggia- menti violenti o aggressivi, che mettano in pericolo gli altri abi- tanti», spiega dogna Laura , la responsabile della struttura. «La vita in Casa Zulema inizia alle 7 di mattina, con la colazione nella sala da pranzo comune e la prima distribuzione dei farmaci. Poi i bambini vanno nella scuola vicina, mentre gli adulti contri- buiscono, a seconda delle condi- zioni fisiche e psicologiche, alla pulizia della casa e del giardino, alla preparazione del pranzo e HONDURAS 14 MC MARZO 2013 # Donna Laura con alcuni bambini della Casa Zulema. # Croce con i nomi delle vittime dell’Aids.
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