Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2013
lato! Fin dal 2002 fummo chia- mati dalla Conferenza episcopa- le coreana a far parte della Com- missione per il dialogo ecumeni- co e interreligioso; più tardi en- trammo nella Commissione per il Dialogo della Conferenza co- reana delle religioni per la Pace (Kcrp), partecipazioni «ufficiali» ci diedero molta visibilità nel campo del dialogo interreligioso, anche perché ero l’unico parteci- pante «straniero». Con alcuni dei nostri cattolici fa- cemmo molte visite a gruppi e centri delle «religioni dei nostri vicini»; eravamo riusciti a creare relazioni stabili con un gruppo di fedeli buddisti di un tempio vici- no (2005-2006), grazie all’inte- resse e accoglienza del loro mo- naco guida; ma quando questi fu spostato in un eremo sulle mon- tagne, tutto il processo fu inter- rotto. Poi intervenne il Padrone della vigna, tramite il governo coreano questa volta: per fare spazio a un complesso di case popolari, espropriò tutti coloro che vivevano nell’area dove c’era il nostro centro. Nuova crisi e nuovo discerni- mento. Ma l’esperienza accumu- lata ci permise di costruire un nuovo centro in un’altra zona, più adatto al tipo di dialogo che nel frattempo avevamo matura- to: un dialogo di base tra fedeli di varie religioni, da prolungare nel tempo e non ridotto a qualche sporadico incontro; un dialogo fatto attraverso lo scambio del- l’esperienza religiosa, che fosse di arricchimento per tutti. Nella nuova zona, nella diocesi di Tae-jon, nel centro della Co- rea, il vescovo ci accolse a brac- cia aperte, esclamando: «Anche noi a Tae-jon abbiamo bisogno di consolazione! E in quanto al ter- reno, non preoccupatevi. Dio ha già scelto il luogo adatto per voi: si tratta solo di trovarlo!». Era vero. Il Padrone della vigna ci aveva riservato un bel posto, e il solito angelo delle nostre co- struzioni, il signor Kim Joseph, accompagnato dal figlio Matteo, provvide a completare la costru- zione in tempo per celebrare i 25 anni di nostra presenza in Corea. BURRONI E VETTE Dopo vari anni di presenza a Man-sok-dong, dove l’ammoder- namento dell’area diventava sempre più concreto, comin- ciammo a riflettere sul senso, stile e forma di presenza in quel «quartiere della luna», finché la comunità decise che era ora di cambiare. Nel 2001, una comu- nità di tre missionari, si stabilì in un altro quartiere di poveri, a Ku- ryong-maul, nella stessa capitale Seoul. Lo spazio della nostra abi- tazione era limitatissimo, ma tro- vammo un’altra casetta accanto e l’adibimmo a doposcuola per i ragazzi del quartiere e per altre attività. Della comunità di Ku-ryong- maul faceva parte anche il kenia- no Joseph Otieno. Ci viveva felice, facendo, secondo le sue stesse parole, «le piccole cose che c’e- COREA DEL SUD rano da fare»: riparazioni nella casa di alcune nonnine del luogo, fare la spesa e altri servizi per le stesse nonnine, assistenza e pra- tica dell’inglese per i ragazzi del doposcuola... Era anche un vero atleta, tanto da iscriversi a un gruppo sportivo che partecipava alle corse amatoriali. Il 18 di- cembre 2005, stava partecipando con il suo gruppo sportivo a una mezza maratona, organizzata per raccogliere fondi a favore dei bambini sofferenti di cuore... quando il suo cuore si fermò nei primi chilometri della corsa. Ave- va 31 anni. Lo shock fu tremendo e la crisi altrettanto dura. Non ci restava che aggrapparci alla fede con tutte le forze. Anche perché, all’inizio dello stesso anno orribi- le, in un incidente d’auto, aveva- mo perso David, seminarista di 29 anni. Dopo questi fatti si pro- spettava una nuova evoluzione: anche la nostra presenza a Ku- ryong-maul stava perdendo un po’ di significato. Avevamo sco- perto che, da qualche anno, i «più poveri dei poveri» in Corea erano gli immigrati stranieri, en- trati nel paese, spesso illegal- mente, in cerca di lavoro. Inizial- mente la Chiesa coreana stentò a rendersi conto del fenomeno, ma poi rispose con grande genero- sità e organizzazione, tipiche del popolo coreano. Anche noi decidemmo di colla- borare con la Chiesa locale nel- l’opera di assistenza e acco- glienza dei lavoratori stranieri. Nell’ottobre 2007 ci siamo stabi- liti anche a Tong-du-cheon, città a nord est di Seoul, diocesi di Ui- jong-bu. Ben presto la nuova ca- sa diventò un punto di riferimen- to sicuro per i molti immigrati stranieri che vivevano nella zo- na. Ed è l’espressione attuale dell’evoluzione che la famosa «opzione per i poveri» ha avuto nella nostra storia.
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