Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2013

COREA DEL SUD 18 MC GENNAIO-FEBBRAIO 2013 di. C’erano stati accesi dibattiti prima che il Capitolo Generale del 1987 decidesse l’apertura al- l’Asia e scegliesse la Corea del Sud. La nostra preparazione, era sta- ta più spontanea che altro: due mesi nella casa generalizia a Roma per conoscerci e fraterniz- zare, leggere articoli sulla situa- zione sociale, politica, culturale e religiosa della Corea, avviare contatti epistolari con il vescovo della diocesi di Incheon che ci a- vrebbe accolti... in attesa del so- spirato visto per la Corea. Insie- me alla Direzione Generale di al- lora, soprattutto, «sognavamo». Sognavamo una chiara e decisa «scelta dei poveri», per fare con loro e per loro grandi cose. So- gnavamo di offrire alla Chiesa locale la nostra bella testimo- nianza di vita consacrata, con u- no stile comunitario vero, intriso di comunione, preghiera e fratel- lanza. Sognavamo l’incontro con le grandi religioni dell’Asia, di cui avevamo qualche idea superfi- ciale, ma i cui nomi ci riempiva- no di misteriosa curiosità: bud- dismo, confucianesimo, sciama- nesimo. Sognavamo di diventare un possibile «ponte» verso la grande e, in quel momento, i- naccessibile Cina. Sognavamo, soprattutto, di dare una buona mano alla Chiesa locale, che al- lora contava solo il 3% della po- polazione, per farla crescere in numero e qualità. Sognavamo, ma ora, tra l’odore acre dei lacrimogeni, ci chiede- vamo dove fossero finiti i nostri sogni. La lingua coreana si rivelò subito un osso più duro del previsto; per sentirci sufficientemente a nostro agio ci vollero 4-5 anni di sforzo costante. Anche l’adatta- mento a cibo, agli usi e costumi coreani richiese molta buona vo- lontà: dopo 25 anni posso dire che è buono anche il kimchi (ca- voli piccanti). Il Paese era in pieno boom eco- nomico e i poveri stavano «spa- rendo» velocemente dall’oriz- zonte. La Chiesa, piccola ma ben strutturata e organizzata, conta- va già forze pastorali sufficienti per le sue parrocchie, i laici im- pegnati erano numerosi e i se- minari erano strapieni di candi- dati. Non c’erano parrocchie da affidare a missionari stranieri. Dove eravamo capitati? Qual era il nostro posto da missionari in Corea? Missione in Asia sì, ma «quale» missione? NOI SIAMO PER I NON CRISTIANI! La nostra prima esperienza tra i poveri fu a Man-sok-dong, un «villaggio della luna» di Incheon, come sono chiamati in Corea i quartieri periferici delle città, specie di baraccopoli dove si am- massavano i poveri; quartieri che già allora stavano sparendo, inghiottiti dai grattacieli dei pro- getti di ri-costruzione delle città. Visto che la Chiesa locale non a- veva bisogno di noi come parroci (anche se aiutavamo molto nelle parrocchie); dato che l’assisten- za sociale nel paese era ben strutturata ed efficiente (con suore in prima linea in un nume- ro impressionante di centri per portatori di handicap, orfanotro- fi, ospedali, case per anziani) e la società non aveva bisogno di noi per costruire scuole e ospe- dali, scavare pozzi e fare opere di sviluppo... constatato che la no- stra immagine tradizionale di missione era impossibile da rea- lizzare andammo in crisi! Una crisi molto benefica, peral- tro; capimmo e accettammo che Qualcuno ci stava purificando, tagliando i rami secchi: i «no- stri» progetti e sogni, per ren- derci più liberi e disponibili a se- # In alto a sinistra: padre Luiz Emer con un gruppo di bambini nella «sala di studio» gestita da volontari nella prima missione a Man-sok-dong (Seoul). # In alto, da sinistra: i primi quattro missionari della Consolata in Corea del Sud: Diego Cazzolato, Alvaro Yepes, Luiz Emer e Paco Lopez. # Sopra: Numero dei missionari raddop- piato nel 1992-94. # Pagina accanto: gruppi di parteci- panti ai «pellegrinaggi di esperienza missionaria» in Spagna ( sopra ) e in Mongolia ( in basso ).

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