Missioni Consolata - Novembre 2012

dell’Avis: «Se scarti un maroc- chino, una domenica, quando ci sono tutti i suoi amici, può es- sere visto e sentirsi come un immigrato di serie b». Di fatto, soprattutto nelle donazioni «comunitarie» (la formula pre- valente del dono di sangue de- gli stranieri), l’immigrato rite- nuto idoneo è motivo di orgo- glio per l’intero gruppo e il ri- fiuto del suo sangue lo fa sen- tire doppiamente escluso: dalla società italiana, ma anche dalla comunità d’appartenenza. Come dice Abdul, uno degli scartati: «Per me era sharaf , onore, donare il sangue e fare qualcosa di buono per gli altri. Ero andato tutto contento per- ché è una cosa buona ma poi… ora gli altri pensano di me… parlano di hshuma , disonore, vergogna, che ho fatto qual- cosa che non si deve. Quando sono uscito dalla stanza mi guardavano tutti in modo brutto». «Non solo mi fanno pro- blemi per il permesso di soggiorno, per la casa, per questo e per quell’al- tro, ma anche quando vo- glio dare qualcosa che è mio, il sangue, pure allora mi dicono di no! Anche qui devi fare la fila dei documenti e far vedere che non sei cattivo?» si lamenta in- vece Icham, anche lui escluso. Come spiega la dott.ssa Fan- tauzzi, «accanto al disonore di essere giudicati inidonei, so- prattutto per la possibile con- trazione di malattie infettive, il disonore più forte è proprio quello legato alla condizione di clandestinità». Per essere am- messi alla donazione infatti ci sono alcuni requisiti burocra- tici, primo tra tutti il possesso di un documento d’identità va- lido. Per tutti questi motivi è impor- tante avere un atteggiamento molto cordiale e accogliente con il donatore straniero: «Se si sente trattato male, allora lo hai perso… non solo come do- natore, ma come cittadino, e poi come uomo: lui fa qualcosa di buono e tu, che in quel mo- mento rappresenti pratica- mente l’Italia, cioè il paese non suo dove però lui vive, lo re- spingi» spiega il dott. Rousas. NOVEMBRE 2012 MC 61 MC ARTICOLI S econdo l’«Osservatorio na- zionale per la cultura del sangue» dell’Avis, attual- mente nel nostro paese i donatori stranieri sono circa 40.000 e rap- presentano il 4% delle donazioni totali, con punte dell’8% in Lom- bardia. Il trend risulta ovunque in costante crescita, come in To- scana dove i donatori stranieri sono raddoppiati in soli tre anni. Alcuni praticano la donazione in forma personale, ma più spesso attraverso giornate comunitarie promosse dalle associazioni d’immigrati. Le comunità più attive in tal senso sono quella marocchina e quella rumena, perciò l’A- vis ha stipulato ac- cordi internazio- nali con l’«Asso- ciazione dei dona- tori di sangue del Marocco» e con la «Lega dei ro- meni» in Italia, per attuare un la- voro di sensibilizzazione più ca- pillare. In Marocco, in partico- lare, non esiste una cultura del dono del sangue volontario e gra- tuito su scala nazionale, perché tradizionalmente i prelievi sono imposti dal Ministero della Sa- lute durante la leva militare o per prendere la patente di guida. Unico dono a carattere volonta- rio quello interno alla famiglia, nel caso di trasfusioni a beneficio dei propri parenti, o quello che avviene per motivi religiosi du- rante particolari occasioni, come il Ramadan, in cui si organizzano raccolte di sangue dal tramonto sino a tarda notte, al contrario di quanto avviene in Italia dove, nel periodo di digiuno rituale, non è tecnicamente possibile donare il sangue. Stefania Garini Avis: le cifre SANGUE MIGRANTE LA RITUALITÀ DEL DONO L’ importanza del dono del sangue nel caso delle prime due esperienze italiane - quella dell’«Associazione islamica delle Alpi» (composta prevalentemente da marocchini, più qual- che egiziano e tunisino) e quella marocchina di «Amece» - è sancita da una forte ritualità che accompagna l’evento, e che si rinnova a ogni donazione. Tra gli aspetti di questa ritualità, i comportamenti alimentari. Mentre di solito al donatore italiano viene offerta, subito dopo il prelievo, una colazione che si consuma individualmente, le comunità arabe predispongono invece uno ftour (il termine indica la colazione ma anche, durante il Ramadan, il pasto che segna la rot- tura del digiuno) a base di vivande tradizionali, come dolci e tè alla menta, che denotano il carattere festivo dell’evento e vengono con- sumati collettivamente, quando tutti i membri della comunità hanno terminato la donazione, e offerti anche al personale medico. La festa è poi accompagnata dalla sha’bi , musica popolare a tema religioso o profano. Gli arabi più osservanti si dedicano anche ad abluzioni purificatorie e pratiche di preghiera che possono prece- dere o accompagnare la donazione. Il carattere extra-ordinario dell’evento viene poi rimarcato dall’ab- bigliamento elegante, spesso di foggia tradizionale, rappresentato da jellaba (abito lungo munito talvolta di copricapo) e babouches , mentre le donne indossano l’ hijab , il velo che lascia scoperto il volto. L’abbigliamento curato è inteso come segno di festa e di apparte- nenza culturale, ma anche come forma di accoglienza verso i conna- zionali e soprattutto verso i medici occupati nei prelievi. Ste.Ga.

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