Missioni Consolata - Novembre 2012
“chi convive con un gruppo per 40 giorni diventa uno di loro”, e io sono in Italia dal ’98, ho impa- rato le vostre leggi, i vostri modi di fare, anche le cose che non vanno… Ecco perché mi sembra naturale che uno doni il sangue dove vive, dove mangia e dove si cura». Siham, neodonatore, commenta: «Almeno adesso, dopo che mi hanno preso il san- gue, avrò un minimo di ricono- scimento… non dico che uno mi deve trattare proprio come un italiano né che mi deve dire bravo! L’ho fatto per dovere, perché è giusto fare del bene, nient’altro: so che almeno qual- che malato torinese si sentirà meglio!». In genere i donatori stranieri danno per scontato che il loro sangue andrà soprat- tutto a cittadini ‘autoctoni’, pur non ignorando che in caso di bi- sogno potrebbe servire anche per loro. Come dice Stelian, un rumeno di Segrate, «doniamo perché anche noi possiamo avere bisogno di sangue, e per ringraziare l’Italia per quello che ci ha dato, l’ospitalità». LINGUA, CULTURA E ALTRE BARRIERE Va detto che le emodonazioni degli immigrati non scorrono sempre lisce. Ad esempio, nella prima donazione dell’«Associa- zione islamica delle Alpi», su 100 donazioni 15 sono state ri- tenute non idonee dal punto di vista trasfusionale, ma molti donatori sono stati respinti an- cora prima di poter donare. «Vi sono innanzi tutto le difficoltà linguistiche», spiega la dott.ssa Fantauzzi, «che entrano in gioco nella fase di compilazione del questionario sullo stato di salute. Quando, ad esempio, si parlava dell’epatite C, qualcuno tirava fuori la patente dicendo di averla; nel caso dell’encefa- lopatia spongiforme, che il me- dico traduce al donatore ita- liano con ‘mucca pazza’, gli stranieri non capivano. Le donne confondevano spesso i tatuaggi (che nell’Islam sono vietati) con i dipinti vegetali al- l’ henné . Per farsi capire i me- dici ricorrevano ai gesti o ai di- segni, ma c’era sempre il ri- ITALIA 60 MC NOVEMBRE 2012 schio di equivoci, come quando l’immagine della siringa veniva interpretata come uso di droga. Ovviamente, se non ci si capisce non è possibile procedere al prelievo». Oltre a quelle linguistiche, en- trano poi in gioco altre diffe- renze culturali, come la diffi- coltà di rispondere sui rapporti sessuali non protetti, o di capire che in gravidanza non si può ef- fettuare la donazione, perché per la cultura marocchina es- sere incinta significa stare bene. «Molte di queste diffi- coltà, anche se non tutte, ven- gono in genere superate bril- lantemente grazie alla pre- senza dei mediatori culturali» spiega la dott.ssa Fantauzzi, «ma il vero problema è quando il donatore è ritenuto non ido- neo per altri motivi». Ad esem- pio, la provenienza geografica: gli immigrati provenienti da vil- laggi ritenuti a rischio sanitario non sono ammessi. In questi casi la reazione può essere molto negativa, come nota il dott. Nikolaos Rousas # Foto istantanee (scattate con il cellulare) di immi- grati mentre donano il sangue. Pagina seguente : un adesivo pubblicitario dell’Avis.
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