Missioni Consolata - Novembre 2012
NOVEMBRE 2012 MC 59 sperienza pilota di donazione del sangue da parte di immi- grati marocchini, avvenuta a To- rino nel 2005 per iniziativa dell’«Associazione islamica delle Alpi». «Io donavo già il sangue a titolo personale, ma ho pensato che sarebbe stato bello coinvolgere gli altri mem- bri del gruppo», racconta Karim Smahi, educatore professionale che vive in Italia da circa 20 anni, «così abbiamo invitato due emoteche dell’Avis nella nostra sede, e oltre un centinaio di noi si sono resi disponibili per la donazione. Da allora conti- nuiamo a donare il sangue con regolarità, 1-2 volte l’anno». L’iniziativa dell’«Associazione islamica delle Alpi» è stata la prima in Italia, seguita a ruota da un’analoga esperienza della comunità marocchina di «Amece» (« Association et mai- son pour l’education et la cul- ture de l’enfant» ), sempre a To- rino, e poi da una miriade di al- tre iniziative non solo in Pie- monte ma anche in Lombardia, Liguria, Lazio, Emilia-Romagna che hanno coinvolto donatori rumeni, polacchi, afghani, cin- galesi, pakistani… CITTADINANZA REALE, CITTADINANZA SIMBOLICA «Le motivazioni per cui si dona il sangue sono spesso diverse per i cittadini italiani e per gli immigrati: i nostri connazionali non donano solo per spirito al- truistico, molti vanno a donare il venerdì o il lunedì perché, con la giornata di congedo dal lavoro, possono prolungare il week- end» spiega la dott.ssa Fan- tauzzi. «Mentre nel caso degli immigrati - che magari igno- rano questa possibilità o hanno lavori irregolari per cui non po- trebbero beneficiarne, e anzi preferiscono donare il sabato o la domenica - le motivazioni sono altre, potremmo dire che il dono è più puro». Di solito infatti gli stranieri, in particolare i mu- sulmani, donano il sangue per motivi etico-religiosi, legati all’i- dea di salvaguardia della vita, che è sacra: «Quando dono per me è un gesto d’amore, non sto a pensare a chi andrà il mio sangue, di che nazionalità o re- ligione è la persona che lo rice- verà. La vita è un dono di Dio e nel Corano c’è scritto: “Chi salva una vita è come se avesse salvato tutta l’umanità” (Sura 5,32), tutta la vita è sacra, anche quella degli animali», dice Elazhari Hind, donatrice appar- tenente ai «Giovani musulmani d’Italia». «Il sangue è qualcosa che esce da te e va ad aiutare un’altra persona, senza che te ne accorgi. È bello e ti fa stare bene sapere che diventa una grande cosa nel corpo di un al- tro», dice Nadia di Amece. Ma c’è anche un’altra motiva- zione, che agisce come marcia in più negli stranieri: «Per il mi- grante la donazione è uno stru- mento di integrazione, meglio ancora di convivenza, di condivi- sione e decostruzione dei pre- giudizi di cui è vittima» spiega Annamaria Fantauzzi. Come dire che l’immigrato, che nel nostro paese resta estromesso dalla cittadinanza reale, cerca attraverso il dono del sangue di recuperare almeno un’apparte- nenza e una cittadinanza simbo- lica. Ne sono un chiaro esempio le parole di Karim, secondo cui il dono del sangue è «una forma di unione con l’Italia. Perché noi siamo lontani dalla nostra terra e ne cerchiamo un’altra in cui però ci vogliamo sentire parte- cipi e realmente presenti. È come se chiedessimo alla città in cui viviamo adesso di pren- derci come nuovi abitanti, come suoi cittadini». E Hind, donatrice marocchina di Roma, dice: «Vo- gliamo far vedere che l’immi- grato non è sempre e solo quello che ruba, quello che vio- lenta e tutto ciò che si sente alla radio e in Tv, ma che noi siamo anche brave persone che aiu- tano gli altri; vogliamo far cam- biare questa idea su di noi per una sana convivenza reciproca». Per Younas, pakistano, in Italia da 8 anni, il dono è importante perché «almeno così il sangue unisce e non divide; e l’immi- grato è considerato un normale cittadino, che dà la vita per il bene di tutti». Nadia aggiunge: «Da noi in Marocco si dice che MC ARTICOLI
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