Missioni Consolata - Novembre 2012
54 MC NOVEMBRE 2012 R io Branco. All’ospedale sono morti altri piccoli indi- geni, colpiti da quel rotavirus 1 che sta seminando lutti e disperazione nelle aldeias indigene. Nelle stanze del Cimi c’è rabbia e preoccupazione. Occorre andare alla Ca- sai, la Casa de apoio a saúde do índio , la struttura dove ven- gono ospitati gli indigeni che giungono a Rio Branco per cu- rarsi o per accompagnare familiari malati. Saliamo in auto perché la casa è fuori città. Piove a dirotto. Una pioggia calda, intensissima, normale dalle parti dei tropici, ma oggi proprio inopportuna. Guidiamo con particolare attenzione. Ci accompagna Ninawa Huni Kui, giovane leader della popo- lazione huni kui (è usuale che il nome dell’etnia di apparte- nenenza funga da cognome). «Siamo in emergenza perché c’è un’epidemia di diarrea e vomito causati dal rotavirus. Quando colpisce i bambini è quasi sempre letale». Finalmente dalla pioggia spunta l’insegna e il cancello della Casai. Nel cortile, proprio a lato dell’entrata, è posteggiata un’auto che pare un veicolo pubblicitario tante sono le scritte colorate che coprono la carrozzeria. No, non sono scritte pubblicitarie. Anzi sì, ma pubblicizzano un prodotto particolare: «100% Jesus», «Jesus te ama», «Jesus, esse nome tem poder». È l’auto di qualche chiesa neopenteco- stale. La conferma ci arriva dai canti che s’odono distinta- mente nonostante lo scrosciare della pioggia. La struttura, di un solo piano, è costruita attorno a uno spa- zio comune adibito a giardino, verso il quale si aprono le stanze. Le varie parti sono collegate da camminamenti pia- strellati e coperti. Ninawa ci fa da guida, presentandoci a ogni persona che incrociamo. Jorge Luis Donato Mateus Kaxinawa è qui per un esame. È tecnico di infermeria nell’u- nità di salute di Santa Rosa de Purus. Lavora in una équipe della Sesai 2 composta da un medico, due infermieri e 4 tec- nici: poche persone che servono una popolazione indigena sparsa in decine di aldeias , spesso isolate e difficili da rag- giungere. «In epoca di pioggia - spiega Jorge - , il principale problema è dato dal rotavirus. E le epatiti, sempre presenti. Mentre, per fortuna, siamo immuni da malaria e dengue». Ernesto Jaminawa, 22 anni, ha portato a curare il figlioletto. Fa l’agricoltore di manioca e banane. Per arrivare a Rio Branco ha fatto un lungo viaggio: dall’ aldeia al capoluogo due giorni di barca e poi altri 400 chilometri. Fuori dalle stanze, al riparo delle sole tettoie sono accam- patemolte persone, tra cui donne e bambini. «La casa è fatta per accogliere 60 persone, tra malati e accompagnatori - spiega Ninawa -. In realtà ne ospitiamo 150 e dunque molti si sistemano fuori delle stanze. Non c’è inoltre un locale sepa- rato per i pazienti infettivi, così accade che molti vengano in- fettati proprio qui dentro». Alla «Casa de apoio a saúde do índio» (Casai) di Rio Branco sono ospitati indigeni affetti da varie patologie. Provengono da aldeias distanti fino a 400-500 chilometri. Per i bambini è spesso una corsa disperata. E vana: quando arrivano a destinazione è troppo tardi per salvarli. Alla Casai di Rio Branco LA BANALITÀ DEL MORIRE
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