Missioni Consolata - Novembre 2012

ARMI LOW COST La Libia del post Gheddafi si è trasformata in un supermercato delle armi. Un self-ser- vice al quale si riforniscono milizie locali, ma anche numerosi gruppi di ribelli attivi in Nord Africa e nel Medio Oriente. L’implosione del regime ha reso infatti disponibile una quantità enorme di armi, da quelle leggere ai sistemi più complessi, e di munizioni che ora alimentano un traffico imponente nel continente africano. Per capire il perché que- sta enorme quantità di armamenti si sia resa disponibile con il tracollo del regime di Gheddafi è necessario fare un passo indietro. Muammar Gheddafi era un ufficiale formato nelle scuole militari britanniche. Nonostante ciò, guardava con estremo interesse al modello di difesa jugoslavo. Dopo la seconda guerra mondiale e l’esperienza della lotta partigiana che nei Balcani aveva messo alle corde le forze armate tedesche, Belgrado aveva infatti creato un sistema di difesa unico. Tito, il dittatore jugoslavo, aveva voluto un esercito di ridotte dimensioni il cui compito era quello di far fronte al primo impatto di un’invasione straniera. La vera di- fesa era però affidata alle milizie popolari, le quali dovevano affrontare il nemico con il metodo della guerriglia. Queste milizie si sarebbero dovute rifornire di armi e munizioni in depositi sparsi sul territorio. Gheddafi importa questo sistema in Libia. L’organizzazione delle forze armate viene ri- dotta all’osso (ciò risponde anche all’esigenza del rais di ridurre al minimo il rischio che l’esercito diventi un possibile catalizzatore del dissenso nei confronti del regime). Parallelamente, crea in tutto il paese magazzini e nascondigli stipati di armi leggere, munizioni, ma anche di sistemi d’arma più complessi quali i missili terra-aria. Non è un caso che Gheddafi nei primi giorni della rivolta, avesse ordinato alla sua aviazione di bombardare non tanto i ribelli, quanto i depositi di armi ai quali si rifornivano. Obiettivo solo in minima parte raggiunto, tanto è vero che il grosso dei magazzini si è salvata. Con la caduta del regime e l’implosione di ogni struttura civile e militare, le milizie che si sono spartite il territorio si sono impossessate anche delle armi che hanno trovato. In parte le hanno usate contro i lealisti (ma spesso anche contro le altre milizie) e in parte le hanno vendute per autofinanziarsi. Secondo i rapporti di alcuni servizi di sicurezza occidentali che operano nel Nord Africa sono quattro i canali attraverso i quali vengono trafficate le armi. Il primo è la Libia sudorientale. Questo è un canale tradizionalmente utilizzato dai con- trabbandieri e dai trafficanti di uomini libici e sudanesi. È dal confine con il Sudan che arrivano i migranti e i carichi di droga (in particolare l’eroina) provenienti dall’Africa orientale. È verso il Sudan che sono diretti i carichi di armi. Queste si uniscono a quelle provenienti dall’Iran e, attraverso l’Egitto e il Sinai, arrivano ad Hamas a Gaza. Recen- temente, alla frontiera tra Egitto e Sudan, è stato sequestrato dalla polizia egiziana un carico di missili antiaereo provenienti dalle caserme libiche e diretti ai movimenti pale- stinesi. Il secondo canale è il Libano. Trafficanti libanesi acquistano armi dai miliziani libici per poi rivenderle a Hezbollah e ai ribelli siriani che combattono contro il regime di Bashar al-Assad. Il terzo è la Libia sud occidentale. Molti tuareg maliani e nigerini che, per anni, ave- vano prestato servizio nelle forze armate libiche agli ordini di Gheddafi, al crollo del regime sono fuggiti, rientrando in patria. In Niger i tuareg sono stati disarmati. In Mali no. A gennaio è così scoppiata una rivolta contro Bamako. I soldati maliani, che fino ad allora erano sempre riusciti a controllare le sommosse anche in virtù della loro su- periorità tecnico-militare, si sono trovati di fronte milizie tuareg dotate di armamenti più moderni e sofisticati dei loro. L’esito dello scontro è stato segnato. I militari maliani sono stati sconfitti e le regioni del Nord (Azawad) hanno dichiarato l’indipendenza. L’ultimo canale è il terrorismo islamico: Al-Qaeda e i movimenti ad essa collegati. I ser- vizi segreti algerini, i meglio organizzati e i più agguerriti di tutto il Nord Africa, hanno sequestrato di recente diversi carichi destinati alle cellule di Aqmi (Al-Qaeda per il Maghreb islamico). «Dopo il crollo del regime – spiega Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi difesa – la Nato non ha pensato a controllare i confini della Libia per bloccare questi traffici. Così le armi libiche si sono diffuse in tutto il Maghreb e il Medio Oriente». Enrico Casale NOVEMBRE 2012 MC 39 MC JIHAD AFRICANA

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