Missioni Consolata - Novembre 2012
CONSERVARE PER SCOPRIRE SEMPRE PIÙ Il verbo usato dall’architriclino « tetêr ē kas » (in greco, perfetto indicativo alla seconda persona singolare) è preceduto dal pronome rafforzativo « sy - tu» che in greco potrebbe essere omesso. Se però c’è, come qui, acquista forza e valenza più forti e profonde; come ab- biamo visto, quel «tu» è essenziale e necessario perché si contrappone al «chiunque» dell’inizio del versetto. Non si tratta più di interpellare lo sposino improvvido, ma il lettore, cioè «tu» che leggi, che accetti l’invito di partecipare alle nozze, di condividere la fede della ma- dre e dei discepoli e quindi di volere fare parte della nuova comunità, che è la Chiesa. Essa, sulla scia di Israele, popolo di Dio, nasce sulle falde del monte Sinai, ma giunge ai piedi del monte Calvario, il monte della rivelazione, la rivelazione dell’«ora», l’ora della discesa non più della Toràh, ma dello Spirito di Dio che porta a pienezza la Toràh e la forza di adempierla: «Reclinato il capo, consegnò lo Spirito» (Gv 19,30). Il verbo « terè ō - custodisco/con- servo» al perfetto indica un’azione passata, i cui effetti continuano nel presente. La forma italiana «hai custo- dito», al passato prossimo, che è troppo povera, anche perché il perfetto greco ripete una parte del tema (« te- te »), che in qualche modo deve essere percepito anche nel suono oltre che nel concetto. Ci pare che, in questo passo, la forma più corretta possa essere: «Tu hai con- tinuato a conservare/custodire». All’inizio di questa puntata, riportando il versetto nel titolo, abbiamo tra- dotto con «tu (invece) hai voluto conservare», dove si mette in evidenza la volontà che persegue l’atto della conservazione, come se fosse un progetto in fase di esecuzione e quindi continuativo. Ci troviamo di fronte a un comportamento simile a quello del servo che ha ricevuto «un solo talento, andò a fare una buca nel ter- reno e vi nascose il denaro» (Mt 25,8) in attesa che gli eventi maturassero. Qui è evidente che l’autore vuole farci capire che è finito il tempo dell’attesa, individuato in quel «fino ad ora», segno di uno spartiacque e di un cambiamento di scena e di tempo. «Ora» comincia un tempo «altro»: quello che troverà compimento sulla croce, la vera Cana dove si celebra lo sposalizio tra Dio e l’umanità e dove viene distribuito a piene mani il vino della vita di Cristo; il sangue del suo costato è dato fino all’ultima goccia: «Subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,34). Acqua e sangue, esattamente come a Cana, che vide l’acqua trasformata in vino. L’accenno alla nuova economia sacramentale ci pare evidente perché la prospettiva è quella della vita donata senza riserva con uno scopo puntuale, perché tutti quelli che vogliono «abbiano la vita e l’abbiano in ab- bondanza» (Gv 10,10). ( 36 - continua ) LA SPOSA È CHIUNQUE CREDE CHE GESÙ È IL SIGNORE A questo punto è necessario uscire dal simbolismo per entrare nel cuore dell’annuncio. Gesù è stato «chiamato» alle nozze, come Mosè è stato «chia- mato» in cima al monte Sinai. Gesù si presenta «per» le nozze con i suoi discepoli. Alcuni di questi gli erano stati mandati da Giovanni il Battista, quando nel capi- tolo precedente aveva indicato «l’Agnello di Dio» e due erano voluti andare a «vedere» dove Gesù abitasse, fermandosi fino alle ore 16 (cf Gv 1,35-39), cioè l’ora in cui nel tempio di Gerusalemme, il sommo sacerdote ( archierèus ) uccideva l’Agnello, versando il suo san- gue come sangue dell’alleanza tra Dio e Israele. Se Gesù è lo Sposo e Giovanni il Battista «conduce» i discepoli a lui, con cui poi si fermano insieme alla «madre» alle nozze, fuori metafora, ecco la realtà: Gesù è lo Sposo e i discepoli con la madre sono la sposa, cioè il popolo d’Israele nella nuova versione della comunità ecclesiale. In altre parole, la madre e i discepoli sono il modello di coloro che credono, il «se- gno» visibile della nuova Chiesa che riprende in mano e nella vita l’alleanza del Sinai, affinché guidata dal nuovo Mosè, Gesù, possa intraprendere il nuovo pelle- grinaggio verso il regno. Chiunque crede diventa la sposa. Ecco perché nel rac- conto non può essere presente una sposa qualsiasi: perché sono sufficienti la madre, gli apostoli e tutti coloro che sul loro esempio crederanno nel Figlio che apre i tempi nuovi e i cieli nuovi dell’alleanza nuova. Questa idea si trova anche nell’Apocalisse, che appar- tiene alla letteratura giovannea, ed è descritta come sposalizio tra l’Agnello/Sposo e Gerusalemme/sposa: «Sono giunte le nozze dell’agnello; la sua sposa è pronta... vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 19,7 e 21,2). DIO, SENZA PASSATO NÉ TRADIZIONI Da un punto di vista strettamente esegetico, pos- siamo rilevare che l’espressione di Gv 2,10 da noi tra- dotta con «chiunque», e da altri con «tutti», alla let- tera sarebbe «ogni uomo» ( pâs ànthr ō pos ). Noi pre- feriamo il senso indeterminato per due motivi: indica una consuetudine di tradizione, quindi anonima e può coinvolgere ciascuno, cioè «chiunque»; in secondo luogo, si determina in modo più forte il contrasto tra l’indeterminatezza della tradizione di «chiunque» e la personalizzazione estrema del «tu» con cui l’architri- clino si rivolge allo sposino: «tu, [invece]». Ci tro- viamo quindi di fronte a uno schema letterario di forte contrasto teologico: «chiunque - tu». Chiunque è il passato, la tradizione, la consuetudine, l’usanza; potremmo dire l’abominevole «si è sempre fatto così», che tarpa le ali a qualsiasi afflato di novità in nome della pigrizia e grettezza. Tu, invece, è un ap- pello alla coscienza individuale che s’immerge nella storia, ne coglie il senso appena velato e lo svela in tutto il suo spessore, senza paura del nuovo e del- l’imponderabile che nasconde nel suo grembo il seme di Dio. Sì, possiamo dirlo: Dio non ha tradizioni da difendere, perché egli è sempre nuovo e parla ogni giorno la lin- gua del momento, altrimenti parlerebbe inutilmente. Dio non ha passato, perché egli è «il Fine», quello che Teihallard de Chardin chiamava «il Cristo, il punto omèga», colui che attrae a sé tutto e tutti dalla prospettiva della fine e del compimento. 34 MC NOVEMBRE 2012 Così sta scritto
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