Missioni Consolata - Novembre 2012
L’UOMO RELIGIOSO CREÒ DIO A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA Con il cambiamento dell’acqua in vino, Gesù opera una rottura: c’è un prima e c’è un poi, esattamente come prima c’era l’acqua e dopo c’è il vino: non si può fare finta che gli eventi debbano adattarsi a noi; semmai siamo noi che dobbiamo entrare nel cuore degli avveni- menti per scoprire, lì, il comandamento di Dio. Quando vogliamo interpretare i « kairòi - le occasioni» di Dio con i nostri criteri, non dovremmo mai dimenticare il monito di Isaia: «I miei pensieri non sono i vostri pen- sieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Si- gnore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vo- stri pensieri» (Is 55,8-9). Spesso, anche noi, come l’architriclino del racconto, vogliamo insegnare a Dio il suo mestiere e preten- diamo che agisca secondo i nostri canoni e le nostre mentalità. La Bibbia, la Parola ci è data non per farne una lettura spirituale, ma per imparare a conoscere la « mens » di Dio e inserirci in essa per sposarla, condivi- derla e praticarla. A volte si ha l’impressione che i credenti, e anche gli addetti specifici alla vita religiosa, dicano di credere in «un Dio a loro immagine e somiglianza» e non nel Dio di Gesù Cristo, il quale è venuto a rivoluzionare ogni si- stema religioso che pretende di incatenare Dio in schemi precostituiti. Ci fermiamo, come l’architriclino, solo a un «assaggio» e non siamo in grado di andare oltre, perché abbiamo paura di oltrepassare il confine che ci siamo imposto. Invece di alzarsi in piedi, abban- donando la comodità oziosa del banchetto, e chiedere ai presenti che cosa fosse quella novità, perché scon- volgeva la «tradizione» usuale, si limita a chiamare lo sposo per dargli un buffetto sulla guancia. Non si ac- corge che lo Sposo è un altro e non si rende conto che ben altre nozze si stanno celebrando, né prende co- scienza che un tempo è finito e tutti, lui e noi, siamo entrati in un’altra dimensione. L’autorità che avrebbe dovuto guidare il popolo in at- tesa alla scoperta dei «segni dei tempi» per cogliere la Shekinàh - Dimora/Presenza del Signore, resta seduto al suo tavolo ad assaggiare il vino, comunque arrivi, fa- cendo perdere anche ai presenti «la novità» della pre- senza eccezionale e decisiva del Signore: «Stolti e cie- chi! Voi … trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione?» (Mt 23,17; 15,3). CANA, IL SIMBOLO DELLA NUOVA ALLEANZA Solo a questo punto, in Gv 2,10, dopo ben 10 versetti, riusciamo a capire, come per uno squarcio, che ci tro- viamo di fronte a un evento straordinario, inaspettato: lo sposo non è il pover’uomo rimproverato dall’autorità per avere fatto male i conti, ma è un Altro, è colui che è annunciato nella notte alle vergini sia stolte che pru- denti, cioè a tutta la comunità: «A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”» (Mt 25,6). Egli ha in mano la chiave del Sinai, la cantina in cui è custodito il vino del Messia e finalmente lo distri- buisce all’umanità invitata a partecipare alle nozze del- l’alleanza. Solo ora scopriamo che «Cana» è un simbolo, un ri- chiamo appena velato che ci rimanda a una realtà ben più significativa e corposa: l’irruzione di Dio nella storia che ora si compie nella persona del Signore Gesù. Per questo la «madre», in rappresentanza di Israele, può chiedere al Figlio di dare finalmente questo vino, per- ché i figli da lungo tempo ne sono privi; il suo «vino- non-hanno-più» non è la mesta constatazione di un di- sagio momentaneo a un matrimonio di amici, ma l’ane- lito di tutte le attese e speranze d’Israele, degnamente rappresentato dalla «madre» che funge anche da sposa, anzi da vedova, che apre le porte di Sion ai figli lontani, invitandoli a ritornare da ogni esilio, dolore, smarrimento e sedersi alla mensa delle nozze, perché «è il Signore!» (Gv 21,7). Finalmente scopriamo il ruolo dei personaggi: la «ma- dre» è la sposa d’Israele in attesa del suo Signore e il Figlio svolge il ruolo dello Sposo atteso, del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, quello rivelatosi sul monte Sinai al profeta Mosè che, nella funzione di «amico dello Sposo», consegnò in nome di Dio a Israele radunato intorno al monte le tavole nuziali del patto d’amore. Di fronte alla scoperta del vino «bello», superiore a quello già esistente, tutto cambia e tutto acquista un senso nuovo. Possiamo con certezza dire che tutto il racconto è un simbolo per metterci in guardia, per dirci di fare attenzione al vero Sposo che è presente e che ri- schiamo di non riconoscere se ci fermiamo alle appa- renze del gusto e dell’ovvio. Ora ci appare anche chiaro perché, immediatamente dopo il racconto del «segno di Cana», Giovanni il Battezzante presenta Gesù come lo Sposo (cf Gv 3,25-30), riservando per sé la funzione tipica dell’uso giudaico di «amico dello sposo». In que- sto modo vediamo Giovanni Battista come l’antitesi perfetta dell’architriclino: questi non si accorge nem- meno dello Sposo che inaugura gli «ultimi tempi» del compimento nel segno del vino «bello»; il Battista in- vece ha coscienza di esistere solo per indicare agli altri, al mondo, chi è lo Sposo atteso, accettando per sé la funzione di paraninfo, cioè di amico, impegnato a pre- parare le nozze senza fine (cf Gv 3,39). NOVEMBRE 2012 MC 33 MC RUBRICHE # Parabola delle 10 vergini (Mt 25,1-13), affresco della chiesa del monastero Emmanuele a Betlemme. © Af MC/B Bellesi
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