Missioni Consolata - Novembre 2012

di Gigi Anataloni EDITORIALE NOVEMBRE 2012 MC 3 Ai lettori ATTACCATI ALLA STESSA CORDA E ra il 1992, vent’anni fa, a febbraio. I miei ultimi mesi a Maralal, Kenya. La siccità impera- va. Tutti ne soffrivano. In missione, mettendo insieme tutte le nostre risorse, avevamo aperto un rubinetto per la gente. La coda cominciava alle quattro del mattino. Si dava ac- qua fino alle sette di sera, quando era già buio pesto. A ognuno un bidoncino da 20 litri. Venivano i bambini, marinando scuola. C’erano le donne/mamme, contente di non dover far chi- lometri e trovare acqua pulita. C’erano i poverissimi e i benestanti del paese, accomunati da un problema che rendeva tutti uguali. Anche se chi poteva, negozianti soprattutto, pagava dei giova- notti, altrimenti sfaccendati, per l’incombenza. I miei ragazzotti dell’Azione Cattolica distribuiva- no l’acqua e tenevano la disciplina. I litigi erano frequenti. I bambini si perdevano a giocare, le donne si imponevano sui bambini, i giovanotti a cottimo scavalcavano tutti per guadagnare di più. Neanche le bacchettate distribuite generosamente dai miei «ascari» riuscivano a mantenere l’ordine. E si sprecava un sacco d’acqua. Provammo così con i tappi delle bottigliette. Ne racco- gliemmo un bel po’ e li numerammo con dei punzoni. Entro sera non ce n’era più uno in giro: i bambini li avevano presi tutti per giocare. In magazzino c’era un rotolo di spago. Infilammo allo- ra lo spago nei manici dei bidoncini per bloccarli in una fila ordinata. L’ultimo arrivato andava in coda, infilava il suo bidone e attendeva tranquillo il suo turno e, se bambino, poteva anche per- dersi a giocare. Funzionò per alcune ore. Poi lo spago si bagnò, si sfilacciò e si spezzò. Fioccaro- no bacchettate. Inutili. Occorreva una soluzione radicale. Comprammo allora una lunga corda di nailon, robusta, resistente all’acqua, difficile da tagliare senza farsi notare. Finalmente si formò una lunga coda ben ordinata, senza litigi, immune da bullismo, da distrazioni, da petulanza. Tutti uguali, bambini e adulti, ricchi e poveri a condividere quel bene così prezioso ed essenziale. S i potesse trovare una corda così per affrontare insieme la gestione di questo nostro mon- do! Era lo scorso agosto, quando è stato dato l’allarme che avevamo già consumato la no- stra razione annuale di risorse e che stavamo già consumando la quota dell’anno prossi- mo. Ci è anche stato detto che quell’«avevamo» non include tutti gli abitanti della terra in maniera uguale. C’è un 20% di mangioni che consumano l’ 80% del tutto, ed è indifferente, se non arrabbiato, al fatto che l’altro 80% voglia una fetta più grande della torta o addirittura parti uguali. Si inquina il mondo, e gli inquinatori pensano di risolvere il problema comperando le quote verdi di chi (per ora) non inquina. C’è un bisogno vorace di energia per il dio «auto» e tutte le altre comodità della vita, Internet compreso. Allora si fanno le «operazioni di pace» che la- sciano lutti e rimpinguano i fabbricanti d’armi, e si affamano quelli che son già poveri per pren- derne le terre e produrre il cosiddetto biofuel , che di bio (vita) ha ben poco perché sta causando la morte per fame (quella vera) di milioni di persone. Una parte del mondo consuma troppo. In- vece di dire: «Condividiamo in giustizia ed equità», dice «siamo troppi» e vuol risolvere il proble- ma impedendo la crescita di chi già consuma poco attraverso controllo delle nascite, aborti faci- li, sterilizzazioni forzate. Certo, questo non viene detto così brutalmente, ma presentato con bel- le parole che confondono anche gli onesti. Non dimenticherò mai quelle due consonanti, «T.L.», scritte nell’angolo in basso a destra di un foglio di quaderno che doveva essere la cartella clinica di una giovane madre keniota a cui avevano legato le tube (T.L.= tube ligation ) senza neanche informarla, solo perché ragazza madre, disoccupata, analfabeta e al terzo figlio. N iente di nuovo in quanto scrivo e non ci stancheremo mai di scrivere su questa rivista. Un approccio troppo sociologico? Dipende dai punti di vista. Un tempo la Chiesa è stata ac- cusata di aver benedetto la colonizzazione del mondo. Tacere oggi sulle ipocrisie di un benessere (di pochi) costruito sulla pelle dei più poveri (molti), è rendersi complici di un sistema schiavista e ingiusto che di cristiano non ha niente. Questo nostro mondo non si salva con delle «arche» per pochi, ma con una cordata dove tutti fanno la propria parte.

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