Missioni Consolata - Novembre 2012

L’INVITO Ho conosciuto un gruppo di gio- vani dell’Associazione Giovanni XXIII. Mi avevano parlato della si- tuazione dell’Albania durante un incontro tenuto a Rimini presso la loro sede. Erano soprattutto preoccupati per le famiglie sotto vendetta, chiuse in casa da mesi e anni, senza poter uscire. Mi hanno invitato in Albania e un giorno finalmente ci sono andato. esploderebbe, non ci sarebbe più nessun limite alla vendetta. Le donne e i bambini possono uscire dalla casa, non cadono sotto vendetta. In realtà non si tratta di rispetto per i deboli; il sangue di una donna o di un bam- bino non valgono come quello di un uomo. Sarebbe un sangue inutile, che non riuscirebbe a la- vare l’onta, come richiesto dalla vendetta. È stato un primo incontro di co- noscenza che mi ha offerto l’oc- casione di avvicinare anche il ve- scovo di Scutari con una do- manda semplice: «Che cosa fa la Chiesa di fronte alla realtà della vendetta?». Di qui è nato l’invito a partecipare a un incontro diocesano. C’erano i preti, le suore e i laici impegnati. Circa duecentocinquanta per- sone. Ci sono andato, e con l’aiuto di una buona traduttrice ci siamo capiti. Il vescovo era contento, molti sono venuti per ringra- ziarmi personalmente; ne è nata anche una trasmissione via radio. Le giornate sono poi state piene di visite alle famiglie e incontri con diversi gruppi. UNA FAMIGLIA Siamo arrivati alla soglia di una casa e lì ci siamo abbracciati con molta affabilità. Ero con il gruppo dei volontari dell’Operazione Co- lomba, insieme ad alcuni Caschi Bianchi, giovani del Servizio Civile Italiano. Ci siamo tolti le scarpe e ci siamo accomodati nei vari di- vani che occupano la stanza prin- cipale. Tutto era cominciato per un problema di acqua. Il regime comunista aveva reso tutto comunitario. Alla sua caduta la divisione delle terre non aveva accontentato tutti, soprattutto co- loro a cui toccavano terre molto aride. Senza acqua per l’irriga- zione un terreno non vale niente. Ci fu una discussione violenta fi- nita con un omicidio. L’assassino fuggì sulle montagne, ma fu cat- turato dopo alcuni giorni mentre cercava da mangiare. Lui ora è in prigione e noi siamo a casa di uno dei suoi fratelli, che dal momento dell’omicidio non è più uscito di casa, prima per ri- spetto al dolore, poi per paura della vendetta. Il padrone di casa ha sei figli, tutti con un nome dalla stessa iniziale. Dicono che porta fortuna, come se uno pro- teggesse l’altro. Così ci può es- sere Sergio, Serafino, Saulo, ec- cetera. I due più grandi sono in Grecia. Adesso non hanno lavoro. Una figlia è in Italia, gli altri tre vi- vono qui. Al più piccolo è stata concessa la besa , cioè la parola che non gli succederà niente mentre va a scuola. Questo è il suo tragitto sicuro, ma non pensi di andare a giocare con i suoi NOVEMBRE 2012 MC 29 MC ARTICOLI

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