Missioni Consolata - Novembre 2012
NOVEMBRE 2012 MC 19 parenza, anche nei cuori. Molte persone sono riu- scite ad accettare. Sono cresciute, si sono create una vita. Alcuni dei perpetratori hanno ammesso, hanno confessato». Si può perdonare un genocidario? «Può dipendere da individuo a individuo. Dipende da come viene chiesto perdono, se è una richiesta sin- cera o una mossa solo dettata dalla necessità di farsi accettare dalla comunità. È difficile definire se un perdono sia stato sincero o meno. Ma almeno è stata offerta la possibilità di chiederlo». S ylvain Sibomana , 40 anni, è un ruandese hutu. Essendo membro della comunità che non era direttamente presa di mira nel genocidio, non ha perso alcun caro nel 1994 ma è stato, come la maggior parte dei ruandesi, scioccato dagli eventi. Racconta di aver aiutato alcuni tutsi a proteggersi dai machete delle milizie interahamwe . Ricostruirsi una vita in un paese in ginocchio, facendo parte della comunità dei «perpetratori» non è stato facile. Es- sere hutu, dopo il genocidio, significava stare dalla parte dei boia. Sylvain si è potuto permettere gli studi universitari soltanto in età adulta. Da qualche tempo è attiva- mente impegnato in sensibilizzazione politica nelle Forze democratiche unificate (Fdu) un movimento fondato dall'esilio. La presidente delle Fdu, Victoire Ingabire Umuhoza, è stata arrestata e incarcerata pochi mesi dopo essere tornata in patria con l'in- tento di candidarsi alle presidenziali del 2010. Ri- schia l'ergastolo per accuse di attentato alla sicu- rezza dello Stato , «negazionismo» del genocidio e incitazione all'odio etnico. La comunità hutu si sente discriminata oggi in Rwanda? «Direi che è in atto un processo di discriminazione “ordinato” non tanto basato sul concetto di apparte- nenza etnica, che, almeno ufficialmente, si è cercato di superare. Ad essere privilegiati nel Rwanda di oggi sono i membri, gli alleati, anche stranieri (mi ri- ferisco ad esempio all'Uganda), del Fpr. Chiunque critica o entra in contrasto con i vertici del Fpr, an- che se tutsi, cade in disgrazia o viene minacciato. Esistono molti casi di ex membri del Fpr che non hanno accettato la gestione del potere e che sono stati costretti all'esilio. L'altra discriminazione è quella economica. Nelle aree rurali o nelle città, i po- veri, non possono permettersi nulla. E i ricchi sono soltanto un'esigua minoranza sui 10 milioni di ruan- desi. Durante e dopo il genocidio del 1994 sono stati uc- cisi anche hutu moderati e ancora, sia hutu che tutsi nell'avanzata delle truppe del Fpr. Esistono denunce contro l'Fpr per crimini commessi negli anni successivi. Il regime lo ha mai riconosciuto? «No. Parlare delle vitime hutu del genocidio, o dei tutsi uccisi dal Fpr è peggio di un tabù, è un reato. Chiunque cerca giustizia o verità, chi chiede una de- gna sepoltura per i corpi dei propri cari viene siste- maticamente accusato di ideologia del genocidio e ri- schia l'incarcerazione. La gente ha quindi imparato a tacere». In queste condizioni si può parlare di una vera ri- conciliazione? «La riconciliazione vantata dal governo è un cliché . Non si può parlare di vera riconciliazione se i ruan- desi non possono sedersi attorno a un tavolo e par- lare insieme del loro doloroso passato. L'Fpr ha scelto di nascondere alcuni aspetti del passato, di co- stringere alcune persone al silenzio. L'unico modo per arrivare a una vera riconciliazione è parlare, tutti, delle nostre storie, dei nostri problemi e di cer- care soluzioni appropriate. I segreti, prima o poi, vengono a galla. a cura di Celine Camoin # Sfollati da combattimenti a 30 Km da Goma, Rdc, maggio 2012. © Junior D Kannah /AFP
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