Missioni Consolata - Novembre 2012

dei partiti che non si sono piegati al diktat del Fpr sono stati arre- stati e incarcerati. È il caso, tra l'altro, di Bernard Ntaganda, presidente del Ps-Imberakuri, di Victoire Ingabire Umuhoza delle Fdu-Inkingi, di Deogratias Mu- shayidi del Pact for peoples's de- fense. Tutti sono condannati o in attesa di esserlo per reati di ne- gazionismo del genocidio, terro- rismo o minaccia alla sicurezza dello stato. Un pretesto, denun- ciano i loro difensori, per met- tere a tacere qualsiasi voce di- vergente da quella ufficiale. Non è raro - dicono gli oppositori incontrati - essere seguiti o spiati da agenti del regime. Me- glio, per la propria incolumità, RWANDA 18 MC NOVEMBRE 2012 non parlare ad alta voce, non farsi notare, stare sempre attenti a quello che si dice e a quello che si fa. La sensazione di essere osser- vati è costante. Guardie armate e poliziotti sono dispiegati dovun- que, all'entrata di tutti i centri commerciali, dei palazzi, agli in- croci, sui marciapiedi. Militari dotati di apparecchiature radio si aggirano di notte, a piedi, per la città. Uffici e residenza del presi- dente sono invisibili, protetti da siepi e da soldati. Nella massima riservatezza, Kagame e i vertici del Fpr lavorano per la prote- zione del paese e dei suoi part- ner commerciali. Celine Camoin veni, attuale presidente dell'U- ganda. L'uomo forte di Kigali ha più volte ammesso di essere un diri- gente autoritario ma, secondo lui, molto popolare. «La popola- rità per un dirigente africano è possibile» sostiene Kagame di- fendendosi dalle accuse di «di- spotismo» che gli vengono ri- volte dagli oppositori in esilio. OPPOSIZIONE PERICOLOSA Dall'interno però si capisce chia- ramente che l'opposizione non ha vita facile. Nessun ufficio, nessuna pubblicità, convocazioni sporadiche in commissariato, fanno capire che gli attivisti sono sotto sorveglianza. I presidenti TESTIMONIANZE A CONFRONTO RICONCILIAZIONE DIFFICILE Il trauma del genocidio è ancora vivo e diversi memoriali fanno in modo che resti tale. Intanto nella so- cietà rwandese è in atto una discriminazione «ordinata» che favorisce i vincitori del 1994. Una reale riconciliazione sembra lontana. Y ves Kamuronsi , 30 anni, è rimasto orfano nel genocidio del 1994. Suo padre e altri membri della sua famiglia, tutsi, sono stati torturati e uc- cisi dalle milizie estremiste hutu che misero a segno una delle più atroci pagine della storia recente. Come molte altre giovani vittime indirette del genocidio, dopo la «Liberazione» del 4 luglio 1994 ad opera della ribellione del Fronte patriottico ruandese (Fpr) oggi al potere, Yves ha potuto beneficiare di borse di studio e di appoggi governativi per ricostruirsi una vita. Yves lavora per gli archivi del Kigali Memorial cen- ter , un complesso che racchiude la storia, le testimo- nianze, le sepolture e gli omaggi alle vittime dei mas- sacri iniziati il 6 aprile di 18 anni fa, dopo l'abbatti- mento dell'aereo che trasportava il presidente ruan- dese Juvena Habyarimana. Nella storia raccontata al museo della memoria, un milione di tutsi sono stati sterminati in tre mesi dai miliziani hutu, sotto gli occhi della comunità internazionale. Cosa sono e a cosa servono gli archivi del Kigali Memorial center ? «Si tratta di una raccolta di materiale molto ampia: nomi, fotografie e testimonianze di vittime; docu- mentazione preparatoria del genocidio, quali articoli di giornali, documenti ufficiali, lettere scambiate tra i membri del governo. Testimonianze di perpetratori e documentazione prodotta durante i vari eventi commemorativi. Tutto viene raccolto, classificato e pubblicato in un archivio multimediale online». Tutte le vittime del genocidio sono state indenti- ficate? «No, capita ancora oggi di essere contattati da per- sone che hanno scoperto un corpo o una fossa co- mune. Ci rechiamo sul posto, procediamo alle dovute verifiche e alla registrazione. Tutto questo rientra nell'ambito di un vasto lavoro di ricostruzione della nazione ruandese». La raccolta e la riproduzione di questo materiale è utile ai fini della guarigione, della ricostruzione del Rwanda? «Certamente. Per alcuni, il trauma è ancora vivo. A titolo personale, ogni volta che qualcuno viene qui per condividere la propria testimonianza, mi sento meglio. Non solo si tratta di un lavoro di protezione della memoria, è anche un lavoro che aiuta la gente a scoprirsi. I sopravvissuti del genocidio hanno superato un pe- riodo fatto di sfide e di paure: nascondersi, scappare via, vivere in campi profughi, chiedersi come vivere senza genitori, senza famiglia. Paura della vendetta, paura di altri massacri. Il '94 è stato davvero un anno difficile. Il paese era interamente distrutto. Non c'era più vita». Questa paura è oggi archiviata? Si può parlare di un paese riconciliato? «Non direi che la paura sia totalmente archiviata. Il clima è migliore, il paese è pacificato, non solo in ap-

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=