Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2012

38 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2012 genitori sappiano accettare dei “No” dei figli, senza forzarli né colpevolizzarli. Altrimenti si mette a re- pentaglio la propria famiglia, oltre che il bambino stesso e la sua famiglia di origine». TIPOLOGIE E NUMERI Esistono diversi tipi di affidamenti famigliari, ma oc- corre distinguere due categorie principali: l’affido può essere consensuale, ovvero con il consenso della famiglia di origine, oppure giudiziale, disposto dal Tribunale per i minorenni. Secondo gli ultimi dati disponibili del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (al 31 dicembre 2008), il 72,4% degli affidi sono giudiziali. A quella data risultavano in affido 15.200 minori, di cui la metà a parenti e il 16,4% stranieri. Ma, dato più allarmante, 15.500 minori restavano in servizi residenziali, quindi in attesa di ricevere una eventuale famiglia affidataria. IL PROGETTO DI AFFIDO «L’affidamento realizzato d’intesa con la famiglia di origine ha molta più probabilità di riuscire, sia perché si pone in ottica preventiva, non si arriva a far interve- nire il Tribunale per i minorenni, sia perché l’adesione al progetto di affido da parte della famiglia di origine è un valore aggiunto molto importante». Chi parla è Frida Tonizzo, che si batte da una vita per l’affida- mento famigliare. Assistente sociale, dopo aver lavo- rato per anni all’Anfaa (Associazione nazionale fami- glie adottive e affidatarie), ora ne è membro del Consi- glio direttivo, e continua a mettere a disposizione la sua esperienza come volontaria. «Occorre trasmettere un valore importante dell’affi- damento: quello che il bambino può crescere con due famiglie, vivendo in un nucleo affidatario e mante- nendo i rapporti con la sua famiglia di origine. Invece il fatto che si debba ricorrere al Tribunale per i mi- norenni, fa assumere al provvedimento un significato impositivo». Una priorità dell’associazione è fare in modo che la percentuale di affidi consensuali au- menti rispetto al totale. Un’altra questione importante è legata al ruolo dello stato. Il diritto del minore a crescere in famiglia, affermato dalla legge 184 non è però un diritto esigibile. Questo perché è subordinato alle disponibilità finanziarie di regioni ed enti locali. Ricorda Frida: «Gli affidamenti famigliari sono disposti dai servizi sociali, che de- vono incaricarsi di tutto l’iter: individuare i bambini per cui proporre l’affidamento, preparare la famiglia di origine all’affido, valutare, selezionare e preparare gli aspiranti affidatari, e poi sostenere tutti. Ma con i tagli alla spesa sociale, questi servizi non sempre as- solvono in maniera adeguata quelle che sono le dis- posizioni di legge». Una delle battaglie della società civile è proprio com- battere la riduzione delle spese e fare in modo che le regioni deliberino affinché l’accoglienza non sia con- dizionata dai fondi stanziati. Occorre ricordare che c’è molta differenza tra le re- gioni italiane: ad esempio il Piemonte è all’avanguar- dia, mentre la Sicilia è la più in dietro di tutte. L’ultimo rapporto «I diritti dell’infanzia e dell’adole- scenza in Italia», del gruppo di lavoro per la «Con- venzione sui diritti del fanciullo» delle Nazioni Unite, uscito a giugno, ha stigmatizzato queste grosse dis- parità. Il gruppo è un coordinamento di associazioni italiane (tra cui l’Anfaa) che realizza un monitoraggio costante sull’attuazione della Convenzione in Italia. SPENDERE OGGI PER RISPARMIARE DOMANI «Come associazione pensiamo che razionalizzando la spesa sia possibile fare interventi che rispondano me- glio alle necessità dei bambini, perché i tagli indiscri- minati sono una scelta miope». Continua Frida. «Se non si interviene in maniera tempestiva e adeguata nei confronti di bambini con situazioni famigliari complesse, il rischio è quello dell’istituto a vita. La grande sfida che può vincere l’affidamento fami- gliare è quella di far diventare il bambino, che è a ri- schio di restare utente dei servizi per sempre, un cit- tadino, un elemento attivo della società e non un suo carico. Se non si riesce a intervenire sulla famiglia di origine per favorire un ritorno del minore, se non c’è affida- mento questo resta in comunità fino a 18 - 20 anni. Una volta fuori è solo ad affrontare la vita. Con l’affi- damento invece, anche quando è concluso, c’è la spe- ranza che la persona abbia dei punti di riferimento per i momenti difficili. Si resta presenti, attivi come genitori affidatari, anche quando il “figlio” affidato prende il volo». L’attivista ricorda che anche un bilancio meramente economico vede importante l’istituto dell’affido, in quanto un inserimento in comunità costa circa 100 euro al giorno. Come dire: togliere i finanziamenti

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