Missioni Consolata - Luglio 2012
44 MC LUGLIO 2012 Non è pura fantasia immaginare un dialogo del ge- nere tra l’antico padrone e il nuovo suddito dichia- rato per legge «libero cittadino». Sia come sia, abbandonato al suo destino, in un am- biente dove la natura si manifesta in tutto il suo splendore, ancora una volta il nero seppe adattarsi, affinché senza conflitto potesse coesistere sia lui che la natura tutta; uomo e natura, ognuno fragile in qualche misura. Da lì iniziò un’esperienza che insegnò al nero a so- pravvivere, estraendo dall’ambiente naturale ciò che gli era indispensabile per l’esistenza; nasceva una cultura nella quale non esistevano i concetti di sfrut- tamento né di superfluo, e nemmeno di accumula- zione (con la relativa idea di risparmio), poiché l’am- biente in cui si trovava era talmente generoso che non era necessario accumulare per vivere. L’economia del pancoger (letteralmente: cogliere il pane, cioè prendere lo strettamente necessario per l’esistenza) produsse una cultura di austerità, nella quale lo sforzo per la crescita poteva apparire super- fluo; atteggiamento che dal punto di vista della men- talità capitalista occidentale fu considerato un freno all’evoluzione di queste società, segno d’incapacità o semplicemente di pigrizia. Gli schemi educativi tradizionali trovarono in tale ambiente il proprio modello fondamentale. Fin da bambino l’individuo imparava a valorizzare l’am- biente naturale, poiché gli veniva inculcato il rispetto per gli elementi; rispetto che si traduceva in accor- tezza nel loro sfruttamento, virtù indispensabile per continuare a vivere in un luogo in cui l’uomo afroco- lombiano si sentiva piccolo e limitato, benché pieno di possibilità favorevoli alla vita. Inoltre, in questo ambiente, egli dilatava il mondo della natura e vi as- sociava il mondo delle forze soprannaturali, di esseri misteriosi e poteri superiori, la cui energia egli si abi- tuava a captare, valorizzare e rispettare. Con il processo d’indipendenza, si stabilirono alcuni gruppi culturali diametralmente opposti: quello del- l’ élite (bianco-creolo, evoluto, sofisticato, salottiero, europeizzante) e quello popolare (oppresso, sottosti- mato, soffocato, sfigurato e perfino perseguitato). Il nero, in Colombia come in altre parti d’America, si trovò tra due correnti: una lo piegava verso il suo perduto passato nel desiderio di poterlo rivivere; l’al- tra lo obbligava ad adattarsi al nuovo ambiente in cui doveva vivere. In tale adattamento dovette scegliere l’acculturazione, cioè, assimilare elementi della cul- tura dominante e al tempo stesso trovare risposte alla sua mentalità e adattarle alle nuove situazioni. Creò, così, nuovi modelli di comportamento, conci- liando l’elemento africano con quello della cultura dei suoi padroni o ex padroni. MENTALITÀ DA CONOSCERE L’azione evangelizzatrice attuale e la pastorale catto- lica con i gruppi afrocolombiani non incontrano, in generale, un «vuoto» di tipo culturale e religioso. Per di più, non esiste tra gli afrocolombiani una cultura o una religiosità totalmente estranea al messaggio evangelico. Da secoli gli afrocolombiani hanno ricevuto l’annun- cio del vangelo e, fondamentalmente, vi hanno ade- rito. Senza dubbio, lo hanno accolto alla loro ma- niera, in parte adattandosi con sincerità alla nuova religione e, in parte, adattando la nuova religione alla loro cultura. In linea di massima gli afroamericani della costa e del Chocó si autodefiniscono «cattolici» e persino «buoni cattolici». In tale dichiarazione gioca una certa dose di ingenuità o ignoranza, ma non vi è pre- sunzione. Sarebbe perciò totalmente sbagliata un’azione pasto- rale che non tenesse conto della mentalità, della cul- tura e della tradizione religiosa delle persone a cui è diretta. Quindi, un lavoro pastorale proficuo tra gli afrocolombiani suppone ed esige la conoscenza piena della loro cultura e della loro religiosità. Inoltre, «in- A destra: scopo della pastorale afrocolombiana è di aiutare gli afrodiscendenti a esprimere la loro fede con i simboli della loro cultura. San Paolo ( a sinistra ) e Sant’Isidoro ( a destra ) titolari di due comunità della parrocchia di Marialabaja: la fe- sta del santo patrono è un evento importante nella vita religiosa e sociale degli afrocolombiani. © AFMC/B Svanera
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