Missioni Consolata - Luglio 2012
Sia in Gv che in Eb si trovano tre pensieri espressi: il verbo gèu ō - io gusto ; l’aggettivo kalòs-bello/buono/ ec- cellente e la parola di Dio, rhêma theoû , esplicita in Eb e simboleggiata nel vino in Gv. A. Serra conclude la nota con il riferimento a 1Pt 2,3 che ricorre alla me- tafora del latte per indicare la stessa Parola di Dio. In conclusione lo stupore dell’architriclino non è altro che l’anticipo di tutti gli altri «stupori» che s’incontrano nel vangelo di fronte ai «segni» operati da Gesù, susci- tando così la domanda sulla sua persona e sulla sua identità: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dun- que può dire: “Sono disceso dal cielo”?» (Gv 6,42; cf Mt 13,54-57; Mc 4,41; 6,1-6; Lc 5,21). QUALE DIO PER QUALE UMANITÀ? Le due interpretazioni simboliche non si escludono né sono alternative, semmai si integrano, perché da un lato è vero che gli «architriclini-sommi sacerdoti e capi» non sono stati all’altezza della novità che la storia portava e dall’altra è pure vero che «anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga» (Gv 12,42). Da un lato, quindi, c’è l’incapacità di cogliere la novità da parte di un’autorità, lenta per sua natura e anche paurosa di aprirsi al nuovo, che è sempre una in- cognita di destabilizzazione del potere acquisito, e dal- l’altra c’è lo stupore/meraviglia che nasce dal «gusto» di un vino mai assaggiato prima. C’è la coscienza, ma non è avvertita perché si ferma al dato e non va oltre. Gesù non è rappresentabile con l’immagine pietistica del «sacro cuore», bonaccione e melenso con gli occhi stralunati come se fosse reduce da un party a base di cocaina o con i capelli biondi intrisi di brillantina al gel per farlo apparire più come un hippy ante litteram che come un ebreo-palestinese, assolato e olivastro. Tutto ciò serve ad alienare e a estrapolare il senso di Dio dalla realtà e trasferirsi in un limbo nebuloso di spiri- tualismo separato dalla vita e dalla storia, disincar- nando la sua incarnazione, trasformata in un accidente di cui si sarebbe fatto volentieri a meno. Al contrario, Gesù porta lo scisma e, dove arriva, im- pone una scelta e, infatti, dovunque va esercita un ma- gistero che esige una risposta: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a por- tare non pace, ma spada» (Mt 10,45); sulla stessa linea il vangelo apocrifo di Tommaso: «Gesù disse, “Ho ap- piccato fuoco al mondo, e guardate, lo curo finché at- tecchisce... Forse la gente pensa che io sia venuto a portare la pace nel mondo. Non sanno che sono venuto a portare il conflitto nel mondo: fuoco, ferro, guerra”» ( Vangelo Tommaso nn. 10 e 16). Di conseguenza, nel popolo molti lo accolgono con entu- siasmo, altri lo rifiutano con consapevolezza (cf Gv 7,43; 10,19); lo stesso avviene tra i farisei (cf Gv 9,16) e tra i soldati del tempio che arrivano a disobbedire agli ordini ricevuti perché «mai un uomo ha parlato così!» (Gv 7,46). Da qui attraverso il misterioso personaggio dell’architri- clino giunge fino a noi la domanda a cui non possiamo sfuggire: chi è Gesù per me ? Oggi, adesso e qui? (33 - continua) Gv 2,9-10 Come poi l’architriclìno gustò ( egèusato ) l’acqua divenuta vino chiama lo sposo e gli dice: «Chiunque prima mette il vino “ eccellente ” ( ton kalòn ôinon : 2 volte). Eb 6,4-5 Quelli che hanno gustato ( geu- samènous ) il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio ( kalòn geusamènous theoû rhêma ). cellente», doveva essere servito «prima», riservando a «dopo» quello scadente. Non si è reso conto che la successione tra «prima e dopo» è saltata, perché quando Dio interviene, non è più il tempo, il « chrònos », a regolare gli eventi, ma solo e unicamente il « kairòs », cioè l’occasione propizia che porta novità e cambia- mento . Se l’architriclino rappresenta i «capi/sommi sacer- doti», egli come questi, non solo non sa riconoscere il senso del vino nuovo, ma vuole impedire che il «se- condo vino», cioè Gesù, entri nell’otre del «primo vino» che è quello dell’alleanza del Sinai, perché «non [è] ve- nuto ad abolire la Legge o i Profeti..., ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17). Per la religione ufficiale il pas- sato è inamovibile, è sicurezza, è l’utero del caldo ri- poso dove ci si può crogiolare in attesa del nuovo che non arriverà mai, perché cuore, occhi e gusto sono tutti fermi e imbalsamati in un tempo addietro, senza vita e senza prospettiva: una fotocopia sbiadita di qualcosa che non saprà mai suscitare gli spasmi dell’amore che vive di attesa e di sospiri, di paura e di speranza. Bloc- cati nel passato, vivono del passato, fuori del presente, morti al futuro. OLTRE IL PASSATO, L’OGGI L’architriclino «e i capi del popolo sanno che Dio ha parlato a Mosè, e questo basta loro per restare suoi di- scepoli» (cf E RALDO T OGNOCCHI , Le nozze di Cana , 168). Per essi è fuori di ogni logica che vi possa essere qual- cuno più grande di Mosè, sebbene lo stesso profeta lo abbia previsto: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto» (Dt 18,15). Anche la Parola di Dio viene vanificata dai cultori del passato che così mettono una ipoteca sulla stessa volontà salvifica di Dio, riducendola a mero strumento di esercizio di potere: «Siete vera- mente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per os- servare la vostra tradizione» (Mc 7,9). Gesù stesso dun- que distingue tra una tradizione «vostra» e il «coman- damento», perché aveva già previsto che gli uomini di chiesa avrebbero sacrificato volentieri il secondo sul- l’altare della presunzione della prima perché dimentica sempre che ogni tempo è tempo di Dio. Un’altra posizione, sempre sulla linea della simbolo- gia, è espressa dallo studioso X AVIER L ÉON -D UFOUR ( Let- tura dell’evangelo secondo Giovanni , I,308), secondo il quale, l’architriclino è una figura positiva, il cui compito è constatare che finalmente è arrivato il «vino eccel- lente» e le parole allo sposo, lungi dall’essere parole di rimprovero sono solo una battuta scherzosa, quasi una celia, come dire: Ah, bricconcello, hai voluto cogliere tutti di sorpresa, dando all’inizio vino scadente e por- tando in tavola solo alla fine vino eccellente! Ci sei riu- scito, bravo! (cf Ibidem , 300). Su questo stesso versante si colloca anche A RISTIDE S ERRA ( Le nozze di Cana , 384- 389), che riconosce il valore simbolico del personaggio, ma lo colloca sulla linea dello «stupore/sorpresa» e non già su quella dell’incapacità, che è conseguenza dell’ignoranza di quanto è accaduto: l’architriclino, «il maestro (o incaricato) di mensa, constata, si direbbe con lieta sorpresa, che il vino offerto alla fine, da lui “gustato”, è di qualità superiore, e non sembra biasi- mare lo sposo per questo. Semplicemente, egli “non sa da dove venga” quella sorpresa. La sua meraviglia ri- mane senza risposta» ( Ibidem , 384). Serra poi nella nota 667 (p. 384) mette in relazione Gv 2,9-10 con Eb 6,4-5 che usano gli stessi vocaboli nello stesso senso e con lo stesso scopo: 34 MC LUGLIO 2012 Così sta scritto
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