Missioni Consolata - Giugno 2012

GIUGNO 2012 amico 81 gini della nazione (nel freddo sud e nel caldo nord) dopo averli decimati circa un secolo fa. La Chiesa fatica ad assumere un impegno pastorale a favore dei popoli indigeni, e per questo è un campo mis- sionario che vede presenti i Missionari e le Missio- narie della Consolata. Buenos Aires è una delle metropoli in continua cre- scita dell’America Latina. Quasi la metà della popo- lazione nazionale risiede nella Capitale e nella sua periferia: le sfide di un centro urbano che accoglie un numero sempre più grande di poveri, sono rac- colte dalla comunità di Merlo, in periferia, dove le sorelle lavorano in collaborazione con i padri e i laici missionari della Consolata, in una zona della parrocchia di Pompeya. Qual è la difficoltà più grande che incontri? A volte fermarsi per conoscere e apprendere ri- chiede molta più energia che buttarsi a capofitto nell’apostolato. Ma è una buona scuola di umiltà, oltre che una saggia decisione di vita. Un proverbio makua (popolo del Mozambico, ndr.) dice: «Quando si è stranieri, si diventa bambini», ed è vero! Bisogna imparare da zero, o quasi: a parlare, a salutare, a mangiare. E così sto imparando a «per- dere tempo» bevendo mate con la gente e le mie sorelle! Qual è la tua soddisfazione più grande? Sapere che sono nel luogo che Dio ha preparato per me fin dall’eternità è fonte di grande pace e gioia interiore. Puoi raccontare un episodio significativo della tua vita missionaria? La notte del 24 dicembre, poco prima della mezza- notte, è arrivata la notizia che una donna povera del Barrio di Merlo, aveva subito violenza da un ba- lordo, ed era stata salvata dai vicini di baracca. Io conosco quella donna, il suo volto mi è subito ve- nuto alla mente. In quel momento mi ha assalito una tristezza enorme, e non avevo più voglia di fe- steggiare. Era come se le tenebre avessero preso il sopravvento. Ma poi una forza interiore mi ha detto che Cristo è nato, e se le tenebre non l’hanno ac- colto, egli comunque è Luce e ha vinto l’oscurità. Quali sono le sfide della missione del futuro? La missione oggi non si appoggia più su megastrut- ture come ospedali e scuole, costruiti secondo il modello occidentale. Ormai siamo orientati verso una missione «a tu per tu», che si basa sulla rela- zione personale. Questa richiede molta più forza ed energia, la struttura era un’impalcatura che soste- neva i missionari e che dava loro maggiore sicu- rezza. Ora bisogna saper giocare in prima linea, avere il coraggio di prendersi i pesci in faccia. Non so se riesco a farmi capire… La comunità di Poopò, in Bolivia, dove vivrò, ha queste caratteristiche: stare con la gente, e portare avanti per i più poveri progetti molto semplici. Prima di partire mi trovavo in imbarazzo di fronte alla domanda: «Che fanno le suore in Poopò?», per- ché non ci sono opere concrete da descrivere, se non il cammino quotidiano con la gente. Cosa possiamo fare, secondo te, per essere sem- pre più in sintonia con il mondo giovanile? I giovani oggi sono carenti di tante cose: hanno tutto a livello materiale, ma mancano spesso di un contesto familiare solido, di un’educazione umana adeguata. Mi sembra che i vescovi italiani abbiano fatto bene a stabilire l’educazione come priorità nel piano pastorale decennale. La missione come un incontro «a tu per tu» vale an- che nella pastorale giovanile. Un lavoro meno im- mediato, più esigente, ma è esattamente ciò che oggi è richiesto dalla situazione. Con la pazienza del seminatore (e del vero educatore!). Ci suggerisci uno slogan per i giovani che si avvi- cinano ai nostri centri missionari? A tutto t(m)ondo! Il tutto tondo è una scultura che si osserva a 360°. Il 3D della scultura! Anche la realtà bisogna vederla a 360°, ricordandoci che l’orizzonte non è il mio pic- colo mondo, ma il mondo intero. E tutto mi inte- ressa ed è affar mio! Luca Lorusso AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT © Af MC/Raspo S 2012 © Af MC/Raspo S 2012

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