Missioni Consolata - Giugno 2012

servizio, in cui l’atto d’amore travolgente che è memo- riale dell’atto d’amore totale di Dio, rinnovo dell’al- leanza per il mondo, dono permanente del monte Sinai nel cuore della storia, presenza del Calvario e del ri- sorto incuneato nel cuore del Regno, atteso eppure già sperimentato, il Cristo spappolato sulla croce… tutto nel tritacarne di una Messa anonima, trascinata, canti- lenata, abitudinaria, macinata con trascuratezza, velo- cità, come una qualsiasi pratica di pietà individuale! «Disse ai diaconi», espressione forte di chi ha saputo distinguere tra «servitù e amicizia»: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo pa- drone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15). Nel vangelo di Giovanni spesso Gesù si rivolge ai suoi discepoli, o ai discepoli ipotetici che ne accetteranno l’avventura, con parole di grande stima e dignità: «Se uno mi vuol servire ( diaconê i ) mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo ( diàkonos ). Se uno mi serve ( diaconê i ), il Padre lo onorerà» (Gv 12,26). La termino- logia non è di dipendenza, ma di sequela: Gesù non è alla ricerca di schiavi e la Chiesa non è una massa ano- nima di gente che deve solo ubbidire; Gesù instaura re- lazioni di vita, basate sul discepolato («mi segua»), dove lui ha una proposta e i diaconi/amici la condivi- dono, partecipando con la propria adesione libera e matura. Oggi si parlerebbe di «cristiani adulti». Come le pecore seguono «il Pastore bello» per ascoltare la sua voce, così gli amici/diaconi si mettono al servizio di Gesù perché il vino dell’alleanza possa arrivare a tutti gli invitati alle nozze, cioè a tutta l’umanità. IL SERVO ESEGUE, IL DIACONO AMA I diaconi di Cana, esercitano la loro diaconìa ubbidendo creativamente al comando di Gesù: «L’obbedienza dei diakonoi di Cana a Gesù è il prototipo della diakonia nuova che d’ora in poi dovrà caratterizzare i discepoli di Gesù» (D E LA P OTTERIE , Le nozze messianiche [1986], 101). In altre parole, i diaconi delle nozze di Cana non sono coreografici, cioè funzionali al racconto, ma figure centrali e anche simboliche, profetiche, perché essi an- ticipano già all’inizio del vangelo quello che saranno i discepoli, quando giungeranno a scoprire l’«ora» su- prema della croce, della morte/esaltazione. Allora «il discepolo e la madre» si riceveranno reciprocamente perché dati in affido l’uno all’altra dall’alto e custodi- ranno il segreto di Dio che è l’amore senza condizione, l’amore senza contraccambio, cioè il servizio, la dia- conìa motivata solo ed esclusivamente dall’amore a perdere. Il servo è esecutore materiale e resta tale, perché è co- stretto a ubbidire esteriormente senza adesione del cuore: il servo non è obbligato ad amare il padrone che lo sfrutta. Al contrario, il diacono è il custode della pa- rola e del comando del Signore, che accoglie con di- sposizione interiore di ascolto e di venerazione, perché sa che quella parola non è indirizzata a lui, ma attra- verso di lui deve andare a quelli che verranno dopo: il diacono/amico è il depositario del mistero d’amore di Dio che egli deve spezzare per tutte le genti; egli speri- menta in sé quello che deve offrire a coloro ai quali è mandato perché il profeta può annunciare solo ciò che ha prima sperimentato e vissuto. Solo nel contesto dell’amore libero e liberante si pos- sono esprimere l’amicizia e la diaconìa che esigono come presupposto la disposizione interiore di acco- glienza e di condivisione. (32 continua) rendendo il testo greco nello splendore semantico del termine che evoca un mondo liturgico, quasi ci trovas- simo nel tempio di Gerusalemme. L’evangelista infatti evoca realmente una dimensione quasi liturgica, comunitaria: c’è il Messia che porta la novità di Dio e c’è la comunità-sposa senza vino e senza sposo; gli addetti della religione non possono portare nemmeno l’acqua, perché le giare sono vuote e quindi non si può accedere alla presenza di Dio. Dio e il suo popolo sono estranei l’uno all’altro: un muro di im- purità li separa. Il popolo si consola con un vino sca- dente che, per giunta, finisce presto e coloro che do- vrebbero rimediare (architriclìno, responsabili) sono inattivi, privi di forze, di fantasia, di potere e di autorità. Essi sanno solo meravigliarsi che la realtà non corri- sponde ai loro desideri e sono sempre pronti a rimpro- verare, mai disponibili a mettersi in discussione: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!» (Lc 11,46). Entra in scena Gesù e tutto si muove: la madre si mette da parte, lo sposalizio prende vita, le giare si riempiono d’acqua «fino all’orlo», i servi diventano diaconi/servi- tori di culto e liturgia, il vino dell’alleanza ridona la vita. Il monte Sinai è di nuovo in mezzo, nel cuore dell’uma- nità che è in cerca di senso. I diaconi si rendono forse conto che sta per succedere qualcosa di nuovo, per lo meno d’insolito, e vanno oltre l’ordine ricevuto. Gesù aveva detto loro di riempire le giare, ma essi le riempiono «fino all’orlo» e l’evangeli- sta lo mette in risalto; essi prendono l’iniziativa «colla- borativa», si assumono la responsabilità di partecipare interpretando il comando oltre le parole: i diaconi vanno allo spirito del comando e non si fermano alla lettera, «perché la lettera uccide, lo Spirito invece dà vita» (2Cor 3,6). La loro ubbidienza è responsabilità, non pedissequa accondiscendenza passiva, che si ripiega su se stessa e si nasconde davanti all’ubbidienza formale derespon- sabilizzante. Essi, i diaconi della nuova alleanza, ubbi- discono alla Parola, ma con atteggiamento libero ed eseguono con fantasia. Per usare una iperbole, si può dire che peccano per eccesso (cioè per sovrabbon- danza d’amore), non per difetto (cioè per atteggia- mento di grettezza) e questa è la caratteristica degli uomini e delle donne liberi che vivono la relazione con Dio e con gli esseri umani con amore e per amore. IL DISCEPOLO SUPERA LA LETTERA E S’IMMERGE NELLO SPIRITO Usando il termine « diàkonos - diacono/servitore» e non « dûlos - servo/schiavo», Giovanni pone lo schema «comando - esecuzione» sul piano della relazione af- fettiva, ristabilendo così una dimensione emotiva e sentimentale della liturgia, che non può essere solo eseguire dei riti «come prescritti», ma una esultanza di gioia per un rapporto d’amore. È sufficiente osservare la celebrazione delle «Messe» (volutamente non diciamo «Eucaristia», termine troppo impegnativo!) ormai, con buona pace del Concilio Vati- cano II, ridotte a pure pratiche di pietà, spesso indivi- duali e di prammatica: bisogna «dire la Messa» tutte le mattine, mezz’ora e via; la domenica, massimo tre quarti d’ora, altrimenti la gente si stufa e non viene più; nella celebrazione si va avanti per forza d’inerzia e, via una Messa, avanti l’altra: una a ogni ora e a ciascuna sono presenti fisicamente una manciata di praticanti. La Chiesa in questo modo è ridotta a una stazione di 34 MC GIUGNO 2012 Così sta scritto

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