Missioni Consolata - Giugno 2012
LA RELIGIONE GIACE PER TERRA La struttura dei due versetti è basata sullo schema let- terario «comando/esecuzione» o «ordine/realizza- zione»: Gesù ordina e gli addetti eseguono. In questo schema si usa due volte il verbo « ghemìz ō -io riempio». Al comando di Gesù: «Riempite», i servi/diaconi: «Riempirono». All’ordine seguente: «Portate» corri- sponde l’esecuzione: «Portarono». Nel testo greco per il primo comando si usa un impera- tivo aoristo, che è un’azione senza tempo, puntuale, in quanto la si descrive finita in se stessa nello stesso istante in cui è enunciata. L’aoristo greco infatti non mette in relazione un «prima» e un «poi» o una qualità dell’agire; esso esprime semplicemente l’azione e l’im- perativo espone un comando chiuso, una volta per sempre, perentorio: «Riempite», come a dire «riempite una volta per tutte», cioè definitivamente. Si tratta di un’azione unica e non ripetitiva. Per la prima esecuzione da parte degli incaricati si usa sempre il tempo aoristo, ma questa volta il modo indi- cativo con valore narrativo: «Essi poi riempirono», col- locato in posizione enfatica, cioè preminente, perché descrive l’azione compiuta dai servitori sulla linea prin- cipale del racconto, che noi rendiamo in italiano con il passato remoto: «Riempirono». Questo ci dice che l’a- zione dei servitori è essenziale alla comprensione del racconto nel suo insieme, perché ciò che fanno (riem- pire le giare e portare il loro contenuto) è sullo stesso piano di ciò che opera Gesù. Per l’autore è importante l’azione dei servi/diaconi an- che perché si trova rafforzata dalla preposizione impro- pria « è ō s – fino», seguita a sua volta da un avverbio « àn ō – sopra/in alto/in cima», che in italiano rendiamo con «fino all’orlo» per dare l’idea dell’abbondanza tra- boccante. Il verbo « ghemìz ō » significa «riempio» un recipiente vuoto, come i canestri riempiti dagli apostoli di pane avanzato (cf Gv 6,13), oppure la spugna «riempita» (im- pregnata) di aceto e offerta a Gesù morente (cf Mc 15,36), come la sala del convito che «si riempie» di tutti gli esclusi che rimpiazzano gli invitati che non si sono presentati (cf Lc14,23; vedi anche per altre circostanze Ap 8,5; 15,8; Mc 4,37). Questo verbo mette in evidenza la drammaticità della realtà: le giare che avevano un compito sublime di purificazione per preparare all’in- contro con il Dio dell’alleanza, erano non solo deposte per terra e quindi inerti, senza forza, ma anche vuote di quell’acqua che è sorgente di santità rituale. Nel momento in cui Gesù entra in scena per svelare il progetto nuovo del Padre, trova una situazione deva- stata e povera, trova la desolazione: il vuoto e l’abban- dono. Si celebrano le nozze di finzione perché non manca solo il vino della presenza del Messia, ma anche l’acqua obbligatoria per ogni atto liturgico. Lo sposalizio a cui partecipa anche la madre che si preoccupa di una sposa mai nominata e di uno sposo quasi inesistente, tutti appartenenti al mondo prece- dente che è il mondo della religione «giacente per terra», senza anima e senza prospettiva (senza vino), protagonisti di una religione che è finzione senza va- lore, un «sacramento» della religiosità delle anime morte. Il rito svuotato della vita è solo una rappresen- tazione del nulla. L’UBBIDIENZA CREATIVA DEL SERVIZIO La Chiesa, «sacramento» della relazione storica tra Dio e il mondo ( Lumen Gentium 1), diventa un’inutile giara di pietra quando si ostina a difendere il passato come modello del futuro, senza rendersi conto che il vino nuovo del Messia non può essere contenuto in otri vecchi (cf Mc 2,22). Spesso si ha l’impressione che chi dovrebbe guidare il popolo di Dio verso il Regno, il quale è sempre davanti a noi, preferisce giacere per terra, inerte a difendere l’esistente che non c’è più, ma di cui ci si illude, immaginando una religione dei «va- lori», un sentimento di vaghezza religiosa dal sapore civile, in cerca di alleanze spurie, che la rendono sem- pre più «vuota», importante agli occhi del mondo del potere, ma inutile agli occhi del Dio incarnato, il quale cammina al passo dell’umanità con fatica e con spe- ranza. Giovanni nel racconto delle nozze di Cana ci dà una chiave di lettura per essere anche oggi sulla stessa lunghezza d’onda del Gesù descritto negli eventi dello sposalizio. L’ordine che egli dà è colto ed eseguito non dai «servi», ma dai « diàkonoi - diaconi». In greco «servo» si dice « doûlos » e indica uno stato di sottomissione, di bassezza, di inferiorità e quindi di ap- partenenza a qualcuno come proprietà. La Bibbia-Cei nella versione del 1974 traduceva infatti con «servi», mentre la nuova traduzione Cei (2008) cerca di rendere il termine greco e traduce con «servitori», che è un passo avanti. Crediamo che avrebbe potuto fare uno sforzo maggiore e tradurre alla lettera con «diaconi», MC RUBRICHE # Sopra , le nozze di Cana in una vetrata della cattedrale di Canterbury, Inghilterra; a destra , particolare delle nozze di Cana da un’icona bizantina moderna.
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