Missioni Consolata - Giugno 2012
in 10 anni la casa diventa di sua proprietà». Un contratto è stipu- lato tra gli inquilini e la Fonda- zione, con il quale i primi accet- tano anche le regole per abitare nel villaggio, una sorta di regola- mento condominiale. «La terra, invece resta della Fondazione, perché vogliamo avere sempre la possibilità di un certo con- trollo su quanto succede nel vil- laggio. Altrimenti il rischio è che costruiscano altre strutture in modo disordinato o vendano la casa. Se vogliono uscire dal pro- getto la Fondazione rifonde quanto hanno pagato fino a quel momento. È una garanzia della durata, ovvero che le case non siano vendute, saccheggiate, danneggiate». Il villaggio ha ac- qua corrente potabile (il che è un lusso a Port-au-Prince) ed elet- tricità. Gli inquilini devono es- sere in grado di pagare i con- sumi. «Abbiamo una lista con centinaia di domande» ricorda il missiona- rio. E i finanziatori, visto il suc- cesso del villaggio Colombe, si sono fatti avanti. Un secondo vil- laggio di 28 case è in costru- zione, mentre sono previsti altri due villaggi di 70 e 80 abitazioni. «Anche la Croce rossa italiana ha chiesto alla Fondazione di co- struire il proprio villaggio di 200 case!». E qui si pone un pro- blema: perché si rischia di supe- rare le forze della Fhrd per sod- disfare tutte le richieste. E que- sto ha aperto una riflessione in- terna. DALLA CASA ALLA COMUNITÀ «La Caritas italiana all’inizio ci ha dato il costo di 10 case, e vo- levamo farle dove la gente ha perso la propria per causa del terremoto. Ma c’era il problema della proprietà della terra, che qui non è mai certa. Inoltre c’e- rano i dubbi legati al trasporto del materiale da costruzione in diversi quartieri, con il rischio elevato che venisse rubato. Al- lora io ho proposto di fare le case raggruppate, in un cantiere unico, recintato, protetto. Su una terra acquistata con documenti sicuri. È stata una scelta indovi- nata: abbiamo comprato la terra qui, e la gente che era nelle tende è venuta ad abitarci». E intorno si sviluppa il concetto di comunità: «Dare la casa, e poi? È nata l’idea che i bambini potessero usufruire della scuola e della clinica. Abbiamo anche chiesto alla Croce Rossa che po- tesse fare un centro giochi, bi- blioteca, sala computer, campo sportivo. È nato un “villaggio ur- bano”. Inoltre un gruppo di suore brasiliane sta impostando con la gente un progetto di “economia solidale”: ha iniziato diversi corsi e vuole puntare su orti e alleva- mento di piccoli animali. L’idea è dunque passata dalla costru- zione della casa alla costruzione della comunità, con assistente sociale, servizi, protezione. Un’i- dea che ha avuto molto suc- cesso: c’è sicurezza, continuità». Il padre è umile e dalle sue pa- role non traspare neppure un filo di vanità per queste realizza- zioni, che localmente, stanno dando ottimi risultati. LAVORO E DIGNITÀ Un altro aspetto fondamentale sta contribuendo a migliorare le condizioni di vita a Santo: «Si è creato lavoro: abbiamo 130 ope- rai, nella costruzione, nella fab- bricazione dei mattoni, e cucine. È diventata fonte reddito. La re- lazione con la comunità è molto buona». 18 MC GIUGNO 2012 HAITI
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