Missioni Consolata - Aprile 2012

50 MC APRILE 2012 OSSIER Per noi, esterni alla comunità e in preda al caos, come può avvenire questo «tempo benedetto»? «Riferendosi alla spiritualità, Shantidas diceva: “È l’inizio di una grande avventura”. Qualsiasi cosa si stia facendo, si interrompe un attimo, ci si mette in asse con se stessi e ci si riappropria del proprio es- sere. Si può cominciare con 15 minuti di meditazione silenziosa o con un testo sacro, lasciandosi parlare diritto al cuore, alla propria vita. Il tempo della pre- ghiera serve a ricordarci il perché del nostro essere nel mondo. Qui e ora. Ha un senso la nostra vita? Da dove veniamo e dove stiamo andando? Poi, c’è il tempo della gratitudine, della coscienza del- l’amore di Dio, scoprendo chi è per noi Dio. Mettersi allo scoperto con tutte le nostre piccolezze e meschi- nità, certi del suo amore». L’azione nonviolenta: come si traduce pratica- mente? «Con progetti ad hoc contro gli Ogm, supportando l’immigrazione, accogliendo i rifugiati politici e lot- tando per l’antinucleare e per il disarmo nucleare della Francia. Abbiamo inoltre una équipe che si oc- cupa di sensibilizzare i giovani alla nonviolenza nelle scuole. Siamo, da sempre, disponibili ad accogliere chiunque voglia sperimentare la vita comunitaria. È un’accoglienza gratuita che permette alle persone in- teressate di vivere il nostro stesso stile di vita». L’Arca è strutturata in maniera gerarchica? «Un responsabile di casa viene eletto ogni tre anni dal Capitolo, ovvero l’insieme delle persone che sono impegnate nella casa. Si diventa membri dopo uno stage di un anno a cui segue un postulato di due anni. Nessuno dei membri ha un lavoro esterno, ma ognuno ha un’occupazione all’interno della struttura. Dopo un mese di stage nella comunità, si può parteci- pare alle riunioni settimanali della casa». Come sopravvive l’Arca economicamente e come sono gestite le finanze di voi membri? «Attraverso l’affitto delle sale dedicate a conferenze, seminari e sessioni di formazione e con l’area attrez- zata per l’accoglienza dei gruppi. Il ricavato conflui- sce in un’unica cassa che viene poi ripartita ai mem- bri per le spese personali. In qualità di single perce- pisco un piccolo contributo mensile, non è certo un lusso ma permette una vita più distesa rispetto a quando non era contemplato». Semplificare la vita o essere radicali. Cosa ti ha insegnato l’Arca? «Mi ha insegnato che l’essere troppo radicali può es- sere deleterio. Le comunità sembravano inizialmente concepite solo per i giovani: senza luce, con i bagni spartani, isolate dal mondo. Le cose cambiano, la gio- ventù passa e anche le comunità si sono dovute ade- guare, perché quello che conta maggiormente è l’at- tenzione verso la persona. Se a 30 anni non importa avere l’acqua calda e la doccia in casa, a 80 diventa un fattore non più trascurabile. Complice della sem- plicità deve essere sempre il rispetto e la conoscenza delle esigenze personali». Possiamo dunque definire «decrescita» misu- rata lo stile di vita attuale? «Non amo molto il termine decrescita. Quello che mi nasce dal cuore è invece un elogio della ricchezza: es- ser ricchi dentro per poter condividere. Oggi, ho piena coscienza che le macchine sono solo strumenti per poter lavorare meglio, il computer ci aiuta nelle relazioni, ci mette in contatto con il mondo. La vita è movimento e se si rimane indietro si rischia di rovi- nare il cammino intrapreso fino a quel momento. Le crisi comunitarie, come quelle personali, servono proprio a riflettere sui passi fatti e a “purificarci” dalle cose inutili».

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