Missioni Consolata - Marzo 2012

46 MC MARZO 2012 OSSIER sibile aiutarmi, ma a me quei soldi facevano comodo, almeno compravo il pane ai bambini». Il municipio di Kombinat non può aiutarla perché ri- sulta residente ancora a Lapraka; d’altra parte non può ottenere i documenti necessari per cambiare re- sidenza perché non ha i soldi per pagare le «tasse sull’ambiente»: una situazione drammatica, che as- sume un carattere grottesco con la richiesta di una tassa per l’ambiente a una donna che vive in tanto degrado! L’unico contributo all’ambiente che pos- sono dare la signora Albana e i suoi figli è raccogliere lattine per sopravvivere. Dal suo racconto viene fuori una kafkiana situazione burocratica: «Sono andata a prendere un certificato che serviva a mia figlia per sposarsi e non me lo hanno dato perché non ho pagato le tasse. Io non ho i soldi per pagare tutte le tasse; ce n’è una anche per ottenere la carta d’identità, un documento richiesto dappertutto, ma io non posso averlo. Dovrei pagare le tasse per l’ambiente, per la manutenzione degli spazi verdi! Ho chiesto di essere esonerata dal paga- mento delle tasse visto che vivo con tre figli in una baracca e mi hanno risposto che devono attenersi alle regole del municipio di Tirana e non possono farci niente. Ho chiesto anche lavoro, ma mi hanno detto che non c’è lavoro. Ad ogni modo cercherò di fare il sacrificio per fare le foto per la carta d’iden- tità, almeno quella». Un’altra conseguenza di questa che si potrebbe defi- nire «cittadinanza limitata» è l’impossibilità di fruire dell’assistenza sanitaria; Albana fa di tutto per salva- guardare la salute dei figli, ma non si può permettere di prendersi cura della propria salute: «Le vaccina- zioni le hanno fatte perché viviamo in un ambiente molto malsano e già così ci ammaliamo spesso. Per le vaccinazioni ho fatto il sacrificio, ma altro non posso. Io sto male, sono malata però non posso andare a prendere le medicine, e ci vogliono i soldi anche per la visita. Ci vogliono soldi pure per aprire un libretto sanitario». In queste condizioni i bambini non frequentano la scuola, per motivi economici e, soprattutto, perché il pudore materno non permette di mandarli a scuola senza un abbigliamento quantomeno decente: «Mia figlia secondogenita, quando il papà era in vita, è an- data per due anni a scuola. Poi dopo la morte del pa- dre non è più andata. Manuel non va a scuola perché non ha i vestiti, poi ci vogliono i certificati, molti do- cumenti. Come faccio a presentarlo a scuola senza vestiti? Non va bene; non è bello! Anisa fino a ieri era senza scarpe; ma ieri ho girato con la carriola per Kombinat e ho trovato questi stivali usati che in- dossa. Non posso presentarli a scuola così perché non è bello». Fa male ascoltare una persona che si vergogna della propria miseria. Albana mostra due patate mezze marce per terra, in una scatola, e dice: «Questo ho trovato e questo darò da mangiare oggi ai miei figli. Che posso fare? Questa è la mia vita». Da 11 anni vive a Tirana, prima viveva a Kukës dove aveva una casa, pur condivisa con il fratello del ma- rito, e dove faceva le pulizie nel municipio. «A Kukës stavo bene; ma anche qui a Tirana si stava bene quando mio marito era in vita, poi lui è morto ed è crollato tutto, perché l’uomo è l’uomo e sa trovare le soluzioni ai problemi». Non ha nessuno che la possa aiutare: i suoi genitori vivono in un villaggio vicino a Laç, in una piccola casa di due stanze con due sue sorelle, suo fratello e moglie, e non hanno la possibilità di aiutarla: «Poi, anche se andassi là cosa potrei fare? Qui almeno posso raccogliere qualcosa e venderla, ma lì non po- trei fare niente. Se avessi la casa ci andrei. Ho paura per i miei figli, per me la cosa più importante è avere una casa». La sua preoccupazione è che ritorni il proprietario e richieda la baracca in cui abita; in tal caso non sa- prebbe proprio dove andare. È la vita angosciante di una madre sola, in una situa- zione disperata, che vive in una città non sua e ha come unico scopo della sua vita quello di proteggere i suoi figli, «Oggi ho paura a lasciare i figli da soli; quando vado a lavorare li porto sempre con me. Certo prima stavo meglio perché ero giovane, non avevo la responsabilità dei figli, mentre adesso devo badare a loro e non li lascio da soli sulle strade, anche loro lavorano con me e si stancano con me». Anisa, la più piccola, mi dice che le piacerebbe an- dare a scuola, a lei piace ballare e da grande vuole fare la ballerina. La madre conclude: «Io vivo per i ragazzi, a me non piace più vivere così, ma devo farmi forza per loro, la mia vita è finita, speriamo che si possa fare qualcosa. Io ho 34 anni, li ho compiuti a dicembre. Eh! così è andata la mia vita».

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