Missioni Consolata - Marzo 2012
44 MC MARZO 2012 Essi hanno scelto strade lontane dalle nostre, per una vita migliore. Anche i miei figli sono andati via: prima la figlia maggiore, già sposata, decise di an- dare insieme ai suoi figli in Macedonia; pochi mesi dopo partì anche mio figlio minore. Furono le diffi- coltà economiche a costringerli a emigrare. La loro partenza fu decisa di colpo, a mia insaputa. Fu un momento per me molto difficile. Sentivo che i miei figli non erano più miei; come se fossero stati comprati da qualcun altro. Inoltre, avevo paura che succedesse loro qualche disgrazia. Erano gli anni ‘90, quando valicare confini era ancora tabù e si rischiava la vita. Arrivarono in Macedonia, ma ne rimasero delusi, perché non era quello che sognavano e si aspetta- vano. Rimasero nella zona di Beogroad per sicu- rezza; facevano qualche lavoro nei dintorni, ma la paga era appena sufficiente per sopravvivere. Mia fi- glia tornò a casa poco dopo; mio figlio invece andò in Grecia. Non seppi più niente di lui, perché non ave- vamo il telefono. Ormai lo credevo morto e aspettavo da un momento all’altro di ricevere la brutta notizia. Alla fine, mi arrivò una lettera raccomandata che mi fece rinascere: mi scriveva di non preoccuparmi per- ché stava bene e lavorava al porto di Selanik. Fu la notizia più bella della mia vita. O ra vivo a Kombinat presso mio fratello e la sua famiglia. È stato un grande cambiamento, alla mia età. Però essi sono stati gentili ad acco- gliermi, perché mia figlia non poteva occuparsi di me e mio figlio è ancora in Grecia. Speriamo stia bene e che ritorni un giorno. Quando sono arrivato mi sono misso a piangere: non volevo fermarmi qui, ma dopo la morte di mia moglie non avevo scelta. Ricevo una pensione; non sono mai stato un peso per nessuno e mio fratello mi ha ac- colto con piacere; da parte mia lo aiuto economica- mente. A me sta bene così. Passo il tempo raccon- tando ai due nipotini la storia mia e di mia moglie. Si siedono sulle mie ginocchia e ascoltano attenti; ma a volte pesano e devo farli scendere. Mio fratello è più giovane di me; anche lui ha lavorato sodo e si è comperato una casa: siamo in sei con lui, sua moglie Blerta, la loro figlia e due bambini. Il ge- nero di mio fratello è andato in Germania a cercare fortuna insieme al cugino qualche anno fa. Sta bene, torna quando può, ma i figli non li porta mai con sé: questo io non lo capisco, dal momento che ora si può uscire tranquillamente dal paese. Secondo me ha un’altra donna; ma quando dico queste cose a mio fratello lui si arrabbia e io smetto. Mio fratello è un gran lavoratore, ma da quando il la- voro nel suo settore è diminuito è nervoso. Io lo aiuto economicamente e mi prendo cura dei bambini ogni volta che mia nipote lavora nel negozio che vende i byrek . Mi piace e mi sento molto utile: rivedo in loro i miei figli e l’amore di mia moglie per loro. Ma sono stanco. Sento molto la mancanza di mia mo- glie e dei figli lontani. Mia moglie è morta da anni, ma la sento sempre vicina. Era meravigliosa. Per quattro anni è rimasta a letto paralizzata. Io le stavo accanto e quando l’ho persa mi è sembrato che la mia vita si fosse spezzata. Mi sentivo come un uomo senza gambe e senza braccia. Il sentimento di solitu- dine mi rattrista molto. Non ho paura della morte: oggi o domani, tutti dovremo morire. Ho più paura della solitudine: non vorrei morire solo in casa, a porte chiuse, senza qualcuno accanto, come si sente dalla televisione o si legge sui giornali. Anche se ho questi pensieri, credo che la vita sia da vivere in ogni momento. Per ridare luce al grigiore dei palazzoni di cemento del periodo comunista, le facciate degli edifici di molti quar- tieri sono state trasformate in un mosaico multicolore.
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