Missioni Consolata - Marzo 2012

MC STORIE E RITRATTI ALBANESI nessuno ci avrebbe più dato del pane. Con i tedeschi fu tutto molto diverso. Avevo 16 anni quando occupa- rono la terra albanese e sentimmo subito il cambia- mento: erano persone fredde, arroganti, diverse da- gli italiani. Non avevamo più il coraggio di andare da loro per cercare pane, come facevamo prima. Erano persone di poche parole e avevamo paura, anche per- ché uccidevano e bruciavano le case di chi aveva le- gami con i partigiani. Erano molto decisi e non esita- vano a uccidere. Sparavano alla gente come se faces- sero il tiro al bersaglio. S otto il regime di Enver Hoxha non eravamo li- beri di parlare apertamente. Nessuno poteva dire quello che pensava, perché i servizi di spio- naggio erano pronti a incastrarti e farti del male. Erano uomini molto intriganti e in ogni momento po- tevano crearti problemi. La mancanza di libertà era sentita come una menomazione perfino dagli stessi membri del Partito. Ne è un esempio la brutta esperienza capitata a un cugino più giovane di me. Aveva 18 anni e, come ogni giovane, desiderava una vita diversa. I servizi segreti gli tesero una trappola: lo invitarono in un bar e, dopo aver bevuto insieme come «amici», comincia- rono a provocarlo, dicendogli che questa vita non era molto buona, che «il futuro era in Macedonia». Gli fe- cero credere che erano veramente suoi amici perché si sentisse libero di parlare. Mio cugino si fidò delle loro parole e manifestò le sue idee e i suoi sogni. Lo presero e lui si fece 14 anni di prigione. Era un periodo molto duro e difficile, pieno di peri- coli; ma non posso non riconoscere ciò che di buono abbiamo avuto durante tale regime. Prima di tutto è arrivata l’elettricità: è stato un grande evento; tutta l’Albania si è illuminata. Poi abbiamo avuto la scuola dell’obbligo per tutti; anche l’assistenza sanitaria è stata estesa a tutti. In quel periodo c’erano molte attività. I giovani par- tecipavano alla ricostruzione del paese e aiutavano a rendere le terre più coltivabili. Non vi erano molte differenze sociali, perché eravamo una nazione molto povera. Eravamo abituati a non avere frigoriferi, la- vatrici, televisione... Eravamo abituati al minimo in- dispensabile, le altre cose sembrano per noi un lusso. M i sposai a 23 anni. Mia moglie aveva 20 anni. Mi innamorai di lei a prima vista, fu un vero colpo di fulmine. A quel tempo ero responsa- bile della manutenzione stradale e il lavoro mi por- tava al paese di mia moglie. Quando la vidi per la prima volta, sentii una forte emozione, mai provata fino allora. Lei mi vide e arrossì. Era scoccata la prima simpatia; poi, ogni volta che mi vedeva, usciva sulla porta. Cominciammo a incontrarci di nascosto: a quei tempi era molto pericoloso farsi vedere in- sieme apertamente, a causa dei pregiudizi. Ora che il regime è finito, l’Albania si è aperta al mondo esterno; ma tale apertura presenta aspetti contrastanti. Di positivo c’è il fatto che abbiamo co- nosciuto un mondo a noi precluso e proibito per quasi mezzo secolo. Il rovescio della medaglia è il fatto che tanti giovani sono andati via dal Paese. MARZO 2012 MC 43 sua per alcuni giorni, simbolo di buon augurio per lui e la sua famiglia, per tutto l’anno. Era una festa dav- vero speciale. A l tempo del re Zog le persone soffrivano molto. Ricordo che mia madre, invece della pasta, cu- cinava la petka, fatta di foglie secche impastate con le uova. La crisi economica, a quel tempo, era forte, i salari troppo bassi e i soldi non bastavano a coprire tutte le necessità. Diverse persone povere e senza lavoro persero case e terre perché, dopo aver chiesto soldi in prestito per comperare da mangiare, non riuscirono a restituirli, e i loro beni vennero con- fiscati. Arrivati gli italiani, le cose iniziarono ad andare me- glio in varie zone dell’Albania. Furono aperti nuovi posti di lavoro e molti uomini andavano a lavorare a Durazzo, come scaricatori di porto e guadagnavano bei soldi. Giravano tanti soldi che Durazzo la chiama- vamo l’America dalle nostre parti. Nel nostro villaggio si era stabilita una guarnigione italiana, essendo per la sua posizione geografica in una zona tranquilla e senza rischi di essere attac- cata. I soldati erano molto buoni, lavoratori tran- quilli, ci raccontavano delle loro famiglie, delle per- sone che avevano lasciato in Italia. Uno di loro non andava a casa da due anni e ne sentiva una nostalgia enorme. Noi ragazzi ascoltavamo i loro racconti e provavamo dispiacere per loro. Ricordo la strada davanti a casa nostra: era molto brutta e piena di buche, ma i soldati la sistemarono e piantarono dei fiori. Dove gli italiani mettevano mano si vedeva subito un grande cambiamento. Quando se ne andarono noi bambini, che avevamo fatto amicizia con loro, provammo grande dispiacere:

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