Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2012

È difficile dire cosa significhi vivere con il ruolo di chi accoglie l’esperienza mis- sionaria di un gruppo di giovani che ti viene a visitare dal- l’Europa. Il missionario, che è nel suo ambiente naturale di lavoro, è portato dal gruppo a rivivere e rivedere quello stesso ambiente in modo molto diverso. Il missionario che aspetta l’arrivo del gruppo viene innanzitutto ac- compagnato dall’attesa. Come in tutte le attese, anche in questa ci sono elementi di gioia e di ansia. Questa attesa potrei paragonarla con quella di una donna incinta: il parto arriva dopo mesi di ge- stazione, di sbalzi di pressione, ecc. L’unica certezza che la donna ha è quella di portare con sé una vita preziosa, e che l’ora del parto arriverà in qualche modo… Da una parte c’è la gioia, dall’altra c’è l’ansia. La parte gioiosa dell’attesa sca- turisce nel missionario dalla sua certezza di attendere l’arrivo di ragazzi carichi del desiderio di vi- vere un’esperienza “unica” che cambierà loro la vita. Ricevendo nella propria missione giovani che hanno fatto un cammino for- mativo in preparazione alla par- tenza il missionario sa di parlare, con le parole o con il silenzio, la loro stessa lingua, e di condivi- dere la loro stessa passione per la gente e per la missione di Gesù, dato che il Maestro è sem- pre Uno! Il missionario gioisce del fatto che nel mondo ci sono ancora giovani pronti a rischiare, ed en- tusiasti di vivere in un breve pe- riodo quello che dovranno poi continuare in tutta la loro vita. Come vive la gioia, il missionario vive anche l’ansia: “Andrà tutto bene?”. Una volta, fino a qualche anno fa, ero io a partire dall’Italia per il Tanzania con i giovani che avevo conosciuto e accompagnato nella preparazione. Ogni anno, ogni gruppo, ogni individuo era sempre diverso da quelli del- l’anno precedente, quindi nes- suna formula era valida per tutti. Ogni volta era tutto diverso e l’ansia di come sarebbe andata l’esperienza era sempre pre- sente. Tanto più questa volta che ho accolto il gruppo diretta- mente in missione, senza cono- scerlo prima. Forse quest’incer- Karibuni sana giovani Di Erasto Mgalama gerito” con calma a casa. Da parte mia posso dire di aver ca- pito cose che prima sapevo solo “in teoria”. Ad esempio mi ha colpito molto il problema del- l’acqua: tutti sappiamo che nel mondo tantissime persone muoiono a causa della difficoltà di accesso all’acqua, ma vedere, toccare con mano, parlare con le persone che vivono quotidiana- mente quella difficoltà, è un’altra cosa. Noi diciamo: «Quest’acqua minerale non mi piace, preferisco quell’altra marca», mentre le persone che abbiamo incontrato bevono l’acqua del fiume dove vanno a lavarsi e gli animali si ab- beverano. Sono tornata in Italia con la convinzione che non pos- siamo arrenderci di fronte alla sofferenza degli altri, anche se i problemi non sono risolvibili dal- l’oggi al domani: qualcosa, pur poco, si può fare. Gli eventi che organizzeremo quest’anno nel cammino con il gruppo GEM 2 (naturale prose- guimento del GEM 1 – Giovani e Missione – che ci ha portato in Africa) saranno finalizzati alla rac- colta di fondi per la costruzione di un pozzo vicino alla scuola di Mafuru, dove i bimbi bevono l’acqua piovana raccolta a chilo- metri di distanza. L’ho raccontato ad una mia amica che mi ha detto: «Ma cosa risolvi? Forse quei 30 bambini adesso, be- vendo acqua potabile non si am- maleranno più, ma tra 50 anni sa- remo punto a capo senza aver concluso proprio niente...». Non è vero. Per quanto possa sem- brare poco, se non si comincia a mettere un mattone la casa non sarà mai edificata. Siamo certi che ogni più piccolo gesto d’amore contribuisce a rendere il mondo migliore, per cui noi ci proviamo e pian piano forse la casa sarà davvero edifi- cata. Eleonora Bortolomasi 72 amico GENNAIO-FEBBRAIO 2012 © Af MC/Bortolomasi E 2011 © Af MC/Bortolomasi E 2011

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