Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2012

CRISI E SORPASSO DI ABU DHABI Ma Dubai è ancora febbricitante: il ricordo della crisi che ha colpito la finanza, ma ancora più duramente l’orgoglio di tutti gli Emirati, è una ferita ancora aperta. Già, la «crisi del debito di Dubai». Così è stata chiamata dal mondo finanziario la più grave congiuntura che ha colpito la monarchia islamica in tutta la sua storia, rischiando di far crollare l’impero creato dalla famiglia Al Maktoum. Il 29 novembre 2009 il colosso Dubai World , il princi- pale conglomerato imprenditoriale dell’Emirato con- trollato dalla casa regnante, aveva annunciato di non essere in grado di far fronte al pagamento di 26 mi- liardi di dollari di debiti, di cui 4 miliardi di sukuk , i bond islamici, i più importanti di tutto il mondo mu- sulmano. Senza finanziamenti, il gioiello del Dubai, il Dubai Burj (torre), il più alto grattacielo al mondo, oramai quasi ultimato, avrebbe rischiato di rimanere un immenso cantiere aperto, e la sua guglia incom- piuta a 828 metri di altezza si sarebbe trasformata in un chiodo arrugginito piantato nel centro della città a simboleggiare il fallimento della sua economia. A soccorrere Dubai è intervenuta però l’eterna rivale Abu Dhabi, con un prestito di 10 miliardi di dollari che ha permesso di terminare la costruzione del Du- bai Burj , stranamente (ma non troppo) ribattezzato, a pochi giorni dall’inaugurazione (4-1-2010), Burj al- Khalifa (Torre del Califfo), un omaggio, neppure troppo celato, a Khalifa bin Zayed Al Nahayan, presi- dente degli Emirati Arabi Uniti (Eau) e sceicco di Abu Dhabi. Insomma, uno schiaffo alla famiglia Al Maktoum che molti analisti hanno interpretato come una volontà di ridistribuzione di poteri all’interno dell’Emirato. Abu Dhabi, infatti, pur essendo la capi- tale politica dello stato, è sempre stata economica- GENNAIO-FEBBRAIO 2012 MC 45 MC CRISTIANI NELLA PENISOLA ARABICA mente in secondo piano rispetto a Dubai. Christo- pher Davidson, professore di politica del Medio Oriente alla Durham University , asserisce che «la crisi del 2009 ha fatto perdere a Dubai l’autonomia che, de facto , aveva da 170 anni. Ora è Abu Dhabi l’e- mirato emergente ed è chiaro che la capitale degli Eau sta cercando di dare un’impronta più centraliz- zata e meno autonomista all’intera nazione». Approfittando della crisi finanziaria, Abu Dhabi ha iniziato la sua ascesa economica in competizione con Dubai. La compagnia di bandiera di Abu Dhabi, la Etihad, sta togliendo importanti fette di mercato alla Emirates Airlines ; la capitale si è aggiudicata lo svol- gimento del Gran Premio di Formula 1 ed ha co- struito il Ferrari World , l’unico parco a tema al mondo dedicato alla scuderia di Maranello. Nei pros- simi anni verranno inaugurati musei come il Louvre Abu Dhabi e il Guggenheim , mentre l’aeroporto, che oggi ospita 12 milioni di passeggeri all’anno, sta per essere ampliato in modo da garantirne il transito di 40 milioni. Infine, dulcis in fundo , durante la visita della regina Elisabetta d’Inghilterra nel novembre 2010, lo sceicco di Abu Dhabi ha ufficialmente varato il suo programma nucleare che vede accordi con Stati Uniti, Corea del sud, Francia e Gran Bretagna e la costruzione di 4 reattori entro il 2020. UNO STOP ALLA MEGALOMANIA Insomma, viene da chiedersi se la prospettiva propo- sta nel 2007 da Sheikh Mohammad bin Rashid Al Maktoum, di trasformare Dubai in «una città araba di importanza globale che rivaleggi storicamente con Cordoba e Baghdad» si sia arenata. Burj al Arab , hotel a 7 stelle, uno degli hotel più lussuosi del mondo, situato su un’isola artificiale, caratterizzato dalla particolare forma «a vela». Museo di Dubai: scena con due mercanti di perle, mercanzia per cui le coste del Golfo erano famose nel medioevo. © Piergiorgio Pescali 2011

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=