Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2012

viso il periodo coloniale britannico, preferirono se- guire una loro strada. Da allora, l’ascesa economica dei sette nani, trasci- nata dall’estrazione del petrolio, divenne inarresta- bile, soprattutto dopo il conflitto dello Yom Kippur, quando gli stati arabi decisero di utilizzare il petrolio come arma contro i paesi occidentali considerati al- leati di Israele: il 16 ottobre 1973 l’Opec (l’Organizza- zione dei paesi esportatori di petrolio) decise di au- mentare il prezzo del petrolio del 70%. In pochi mesi, grazie a quello che venne soprannominato «l’oro nero», i vari sceicchi del mondo arabo si trovarono le casse ricolme di dollari. Identico fenomeno è avvenuto nel resto della peni- sola arabica. In grandissima parte desertica, con una popolazione composta in maggioranza da tribù be- duine nomadi o semi-nomadi e con una struttura so- ciale di tipo tribale e feudale, questa regione era ri- masta per secoli ai margini della scena mondiale, fino a una cinquantina di anni fa, quando in seguito alla scoperta e allo sfruttamento del petrolio è ritor- nata ad essere l’ Arabia Felix di cui favoleggiavano gli antichi romani. Da sola, l’Arabia Saudita possiede il 24% delle riserve petrolifere mondiali; estrae ogni giorno 35 milioni di barili di petrolio, esporta greggio per migliaia di miliardi di dollari, con un surplus fi- nanziario di centinaia di miliardi da investire in patria e all’estero. In un paio di generazioni, la Penisola è passata dalla tenda al grattacielo: oggi, più del 95% della popola- zione è sedentarizzato; ma sotto l’aspetto sociale mantiene un piede nel Medio Evo e con l’altro cerca uno stabile appoggio nel XXI secolo. OSSIER PREMESSA BEN TORNATA ARABIA FELIX 36 MC GENNAIO-FEBBRAIO 2012 F ino a 40 anni fa la costa araba che si affac- ciava sul Golfo Persico era divisa da sette minuscoli regni abitati da 44 diverse tribù il cui unico comune denominatore era la lingua e il senso d’appartenenza alla umma , la comunità islamica. Piccoli stati, divisi, poverissimi, senza alcuna risorsa se non la sabbia; 83.600 kmq di deserto che per 1.318 km si tuf- favano nelle acque del Golfo Persico. Lungo la sab- kha , la fascia costiera prospiciente il mare, sorge- vano piccoli porticcioli, abitati per lo più da pescatori e commercianti che, con i loro piccoli dhows , veleg- giavano verso i paesi limitrofi trasportando merci di poco valore. Poi, nel 1971, uno sceicco più intraprendente e lungi- mirante di tutti, Zayed bin Sultan Al Nahyan, pro- pose ad altri stati di formare una federazione con il suo regno, Abu Dhabi; così, oltre a garantirsi l’indi- pendenza dall’impero britannico, avrebbero ottenuto forza politica ed economica sufficiente per ritagliarsi uno spazio tra i giganti arabi. Cosa potevano fare, in- fatti, quelle minuscole monarchie sottopopolate, po- vere, senza una storia e prive di una cultura speci- fica, di fronte a nazioni come Arabia Saudita, Iran, Iraq, Yemen? Da sole sarebbero state sottomesse al- l’uno o all’altro stato; insieme, forse, sarebbero po- tute sopravvivere. E così il 2 dicembre 1971, nel Gue- sthouse Palace di Dubai, Abu Dhabi, Dubai, al-Fujai- rah, Sharjah, Umm al-Quawain e Ajman siglarono la Costituzione che sanciva la nascita degli Emirati Arabi Uniti; Ras al-Khaymah decise di unirsi al pro- getto l’anno seguente. Qatar e Bahrein, anche loro in- vitati ad unirsi alla neonata nazione dopo aver condi- © CC-by-2 0/ al Ghussein 2009

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