Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2012
34 MC GENNAIO-FEBBRAIO 2012 Così sta scritto quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, quello di Nàzaret ”». L’ul- tima parte del versetto «quello di Nàzaret» in greco è al caso accusativo ed è una apposizione che non si ri- ferisce a Giuseppe (complemento denominativo di specificazione e quindi collocato al caso genitivo), ma deve attribuirsi, «apporsi», al nome «Gesù», che è complemento oggetto e quindi va collocato al caso ac- cusativo. Tradotto in modo più chiaro si direbbe: «Gesù di Nàzaret, figlio di Giuseppe». Questa semplice annotazione di analisi logica ci dice due cose: 1° - Gesù è di Nàzaret; quindi, se ne conosciamo la città, sappiamo da dove viene: è un uomo, un rabbino che abita nella città di Nàzaret, figlio del carpentiere, è un essere umano, uno di noi. 2° - Con l’espressione «figlio di Giuseppe», l’evangeli- sta afferma che quell’uomo, uno di noi, è anche il Messia, discendente del patriarca, che viene a convo- care il suo popolo, non più per organizzarlo a supe- rare la carestia, ma per ricevere «il pane disceso dal cielo» che è lui stesso (Gv 6,41.51.58). Mentre il pa- triarca dispensa il grano che aveva raccolto nei silos, Gesù dona semplicemente se stesso, senza riserve. Poiché lo spazio a nostra disposizione per questa puntata è terminato, sarà necessario dedicarvi ancora la prossima per analizzare la figura del patriarca in rapporto sia alla sua funzione «universale» sia in rap- porto in modo particolare al racconto dello sposalizio di Cana. (28 – continua). Note 1 - K. Rahner, Uditori della Parola , Borla, Roma 1988. GIUSEPPE SULLO STESSO PIANO DI MOSÈ Da parte sua Giovanni, oltre a mettere sulla bocca della madre di Gesù quasi le stesse parole del pa- triarca Giuseppe, poco più avanti, nel racconto della Samaritana (cf Gv 4), mette in evidenza, quasi con noncuranza che la città di Sìcar, da cui proveniva la donna samaritana, è l’antica Sìchem dei patriarchi: «Giunse così a una città della Samarìa chiamata Sì- car, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giu- seppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe» (Gv 4,5; cf Gen 33,18-20; 48,21-22; Gs 24,32). Tra i Sama- ritani e i Giudei non correva buon sangue. «La donna samaritana gli dice: “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samari- tana?”. I Giudei infatti non hanno rapporti con i Sama- ritani» (Gv 4,9). I Giudei disprezzavano i Samaritani perché si erano contaminati con altri popoli, soprattutto sul piano reli- gioso (cf 2Re 17,24-41; Esd 4,1-5). Ciononostante, se- condo la testimonianza di Giuseppe Flavio, anche i Samaritani avevano una venerazione altissima del pa- triarca biblico, posto sullo stesso piano di Mosè, fino al punto che, in alcune circostanze, si definivano «Giu- dei» perché si ritenevano discendenti di Èfraim e Ma- nasse, cioè i due figli di Giuseppe (cf Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche XI,8.6). In un testo importante della tradizione samaritana, il codice « Memàr Marqàh - Parola/Insegnamento di Marco », databile tra il sec. II e IV d. C., ma che riflette insegnamenti molto più antichi, come tutti i testi che riportano la tradizione orale, si può leggere: «Non c’è nessuno come Giuseppe il re, e non c’è nes- suno come Mosè il profeta. Ambedue hanno conse- guito una posizione elevata: Mosè ha posseduto la profezia, Giuseppe ha posseduta la Buona Montagna [= il monte Garìzim]. Non v’è nessuno più grande di loro due» (Testo e bibliografia in A. Serra, Le nozze di Cana Gv 2,1-12 , 354 n. 608). C’è però ancora qualcosa nel quarto vangelo, il quale per ben due volte sottolinea che il rabbi di Nàzaret è «Gesù, il figlio di Giuseppe» (Gv 1,45; 6,42a). Diverse volte abbiamo detto che in Giovanni quando una pa- rola, un’espressione, un fatto, un nome, una circo- stanza, ecc. ricorrono due volte è segno che l’autore ci vuole invitare a non passare oltre, ma a fermarci per cogliere il senso nascosto (senso pieno) che c’è oltre il significato ovvio e immediato. È evidente che da un punto di vista ordinario, con l’espressione «Gesù, fi- glio di Giuseppe» si dice che Gesù è proprio il figlio di Giuseppe, il carpentiere di Nàzaret, perché di quel nuovo rabbi che percorre la Palestina tutti conoscono «il padre e la madre» (Gv 6,42b). Questo è il senso ov- vio, il significato primo, quello delle parole così come sono pronunciate e comprese. Noi diremmo il senso materiale. IL MESSIA DISCENDENTE DI GIUSEPPE Oltre questo, però, Giovanni ci dice dell’altro nel con- testo della mentalità, della cultura e delle attese del tempo di Gesù, dove era viva e vigile l’attesa di un doppio Messia: uno discendente di David e l’altro «fi- glio di Èfraim» o anche «figlio di Giuseppe» (cf Dt 33,17; per la letteratura giudaica invece cf TJI Es 40,9.11; Targum Ct 4,5; Gen Rabbàh 75,6 a Gen 32,6; Pesiktà Rabbati 30,4, ecc.). Dal punto di vista letterario è interessante notare an- che il già citato Gv 1,45: «Filippo trovò Natanaèle [= Bartolomeo] e gli disse: “Abbiamo trovato colui del # «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret» (Gv 1,45).
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=