Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2012

peggiore di quella precedente. Una pianura di sabbia arsa dal sole ramificata in una miriade di strade sterrate. Da una stagione all’altra il paesaggio cambia così velocemente che è difficile im- boccare la giusta direzione. Non un albero particolare, non una freccia o un segnale utile da fo- tografare mentalmente. Nel nulla sbuca un anziano su una bicicletta che ci dice di se- guirlo, ci indicherà lui la strada per Sanza, senza però valutare che lui è in bicicletta e noi su un fuoristrada. Per la «gioia» di pa- dre Giacomo i rami delle acacie ci abbracciano in uno stridulo ra- schiare contro le portiere della macchina. Arriviamo finalmente a Sanza; ci accolgono un giovane diacono, Marco Turra, che presto sarà or- dinato prete, padre Salvatore Renna, veterano anche lui di questi villaggi della Rift Valley, e padre Thomas Ishengoma, rien- trato in Tanzania nel 2002, dopo essere stato in Spagna e in Co- lombia. La missione di Sanza è stata aperta nel 1987. «Era una zona di prima evangelizzazione, dove mancava tutto - mi racconta pa- dre Giacomo, durante il viaggio -. L’emergenza era ed è tuttora l’acqua. È un posto arido. Ab- biamo iniziato con la parrocchia, un dispensario, un asilo e tanti piccoli aiuti per tamponare. Pen- savamo anche a una scuola di arti e mestieri ma poi l’idea non è maturata. Il problema di qui è che manca l’intraprendenza per collaborare allo sviluppo della zona». UNA MISSIONE IPERDINAMICA AI CONFINI DEL MONDO Marco mi accompagnerà nei tre giorni successivi alla scoperta di questa parte di Tanzania per me nuova. «Non c’è campo per te- lefonare, né luce - mi dice subito Marco -. Siamo fuori dal mondo. Noi utilizziamo i pannelli solari e il generatore per le cose princi- pali, ma la situazione è tale che ci sprona a reinventarci ogni giorno come affrontare le diffi- coltà nostre, del posto e della gente. Le strutture che vedi sono la chiesa, l’asilo, il dispensario gestito dalle suore, un magaz- zino di cibo per i poveri, soprat- tutto mais, distribuito una volta al mese. Poi abbiamo la falegna- meria, in cui sono stati fatti an- che i banchi per l’asilo, e un ga- rage essenzialmente per le no- stre macchine, messe a dura prova dalla condizione delle strade. Infine abbiamo un alleva- 22 MC GENNAIO-FEBBRAIO 2012 mento di mucche, capre, maiali e l’orto. Cerchiamo di essere au- tosufficienti, ma è dura. Que- st’anno la siccità ci sta distrug- gendo. Le uniche verdure che riusciamo a mangiare sono i ca- voli cinesi. La frutta è poca e se continua a non piovere non ce ne sarà proprio». Mentre Marco mi mostra l’orto, osservo delle donne in lonta- nanza che nel letto secco di un fiume, fanno buche nella sabbia per prendere acqua. Qui è una consuetudine. In ginocchio, pie- gate per ore, sotto un sole bol- lente, con i loro bambini sulla schiena, scavano per riempire secchi e bacinelle di un’acqua sabbiosa, scura. Conosco il valore dell’acqua che proprio questo continente mi ha insegnato, ma mai come in que- sto viaggio ne capirò il significato vitale. Non ci sono parole capaci di descrivere lo stress e la ten- sione quotidiana di queste per- sone per il bisogno vitale dell’ac- qua in una zona così depressa. Non ho visto la presenza di una sola ong in questa parte di Tan- zania, popolata da tribù che vi- vono un olocausto quotidiano, abbandonati dal mondo ma non da questi angeli di Dio, che per il solo fatto di accompagnarli, ascoltarli e sostenerli vivendo TANZANIA # Bambini della missione di Manda. # Donne con secchi di acqua attinta dalle buche scavate nella sabbia del letto del fiume.

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