Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2012
MC ARTICOLI cerca di tenere ordine e condivi- sione. Non è quindi una situa- zione come quella degli slum di Nairobi, ma una condizione più decente e umanamente accetta- bile. Da notare che, al di fuori di questi compound , c’è un grande degrado: sporcizia, sacchi di pla- stica svolazzanti, le famose «mo- bile toilets», mucchi di rifuti di ogni tipo dove le capre si danno da fare per trovare qualcosa da mangiare. Il problema più grande dopo il cibo è l’educazione. Molti ospiti sono illetterati. Solamente il 41% dei ragazzi e il 37% delle ragazze vanno a scuola. In tutti i quattro campi ci sono 19 scuole, asilo e primarie insieme, mentre le secondarie sono in tutto sei (due per ogni campo di 120mila rifugiati). Si formano così classi con 90 - 100 alunni, dove la mag- gioranza siede per terra per mancanza di banchi. Un libro di testo ogni dieci alunni, e pochis- simi materiali. Ho visto quaderni offerti dall’Unicef (Agenzia Onu per l’infanzia) e altri libri di con- tabilità ammucchiati a pile negli uffici dei presidi delle scuole. Si stanno costruendo tre bibliote- che per favorire la lettura tra gli alunni. Le tre scuole che ho visi- tato (Amani, Upendo e Iftin - luce) sono frequentate da 1.500 a 2.300 alunni, con molti maestri impreparati e senza materiale didattico. TENSIONE E INSICUREZZA C’è continua tensione in tutti i campi anche nella base delle Nazioni Unite. Il giorno 13 otto- bre in piena mattinata sono state rapite due giovani dottoresse spagnole mentre prestavano servizio al campo Ifo. Noi in quel momento eravamo nel campo di Hagadera. Ci è stato dato l’or- dine di non muoverci finché non fossero arrivate le forze militari ad accompagnarci al nostro campo. Trenta o quaranta mac- chine in servizio umanitario co- strette al convoglio forzato. E per un giorno non siamo potuti uscire. Al Shabaab e altre milizie hanno un grande potere che il Kenya sta cercando di control- lare. Forse è un po’ tardi interve- nire adesso, dopo averli lasciati liberi nel commercio delle armi e nelle scorribande nel paese. Ci sono due stazioni di polizia per ogni campo ma i problemi sono tanti e delicati. Resta un mistero il traffico delle armi nei campi. Difficile entrare nella cul- tura familiare e sociale dei clan che dominano la società somala. FUTURO PER I RIFUGIATI Nel mondo si contano 50 milioni di profughi (in inglese: displaced people ). La maggior parte dei conflitti avvengono nei paesi in via di sviluppo e la popolazione civile diventa un bersaglio mili- tare o si trova nel mezzo del fuoco incrociato di gruppi ar- mati. Spostarsi su altre terre vuol dire cercare sicurezza e protezione, cibo e stabilità. La maggior parte dei rifugiati nei campi di Dadaab vive in tende, ma anche in cassette fatte con fango e arbusti della savana. Non è facile per loro prevedere il giorno del ritorno: non si sa quando finirà il conflitto dei clan in Somalia. Ognuno vorrebbe ri- tornare alla propria terra. Ma se un giorno dovessero farlo, do- vrebbero essere sicuri di trovare un sistema legale, giuridico, educativo, e la possibilità di un lavoro. In un termine la sopravvi- venza, soprattutto per le vedove e gli orfani. Il processo di ricon- ciliazione e pace può durare de- cenni come in altri paesi, Franco Cellana # Sopra. Padre Franco Cellana posa con il preside e la segreta- ria di una scuola nei campi. # Sotto . Insegna che raffigura tutti i popoli presenti nei campi: «Uniti nella diversità, noi siamo uno». GENNAIO-FEBBRAIO 2012 MC 13
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