Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2012

# Insegnanti e direttore di una scuola nei campi. # Sotto . Tende di nuovi arrivati, con la «chiusura» tramite rovi. MC ARTICOLI nuove piogge potranno offrire nuovi raccolti, prezzi accessibili a tutti, progetti di sviluppo per prevenire disastri futuri (ad esempio riserve d’acqua, dighe e pozzi). Anche i mercati globaliz- zati sono colpevoli, perché favo- riscono l’importazione di cibo a scapito dei produttori locali. In una situazione così grave, ri- mane nel Corno d’Africa una profonda ferita umana cono- sciuta ormai da tutto il mondo: i campi dei rifugiati di Dadaab, nel Nord Est de Kenya, a 80 Km dal confine con la Somalia. VIAGGIO A DADAAB Il 12 ottobre scorso, grazie all’ap- poggio dell’Ong Avsi (Associa- zione Italiana di Servizio Interna- zionale) e di Unhcr (Alto commis- sariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ho potuto visitare alcuni campi dei rifugiati di Dadaab. Era un desiderio che avevo nel cuore dopo aver condiviso le realtà della fame nelle diverse zone del Kenya. La zona si trova a un’ora di aereo da Nairobi. Dadaab è un piccolo villaggio sulla strada che da Garissa (a 130 km) va a Liboi al confine con la Somalia (a 80 Km) in un terri- torio totalmente sabbioso e im- pervio pieno di arbusti e poche piante. Gli abitanti sono keniani- somali che da tanto tempo con- dividono vita e lavoro, commer- cio e pastorizia. Attorno a que- sto piccolo villaggio sono piaz- zati tutti i campi delle Nazioni Unite e delle Ong con una po- tente difesa di reticolati e can- celli di sicurezza, dove ci sono gli uffici e tende dei volontari per il servizio ai rifugiati. Nel 1991 quando scoppiò la crisi e la guerra in Somalia, molti so- mali scapparono dalla loro terra per rifugiarsi in questo angolo del Kenya. Allora il governo ke- niano preparò alcuni campi par- ticolari attorno al villaggio di Dadaab: Ifo 1 nel 1991 per 30mila rifugiati a 5 km, Dagaha- ley nel 1992 per altri 30mila ri- fugiati a 16 km, Hagadera nel 1994 per altri 30mila a 12 km verso Sud. Ora stanno prepa- rando Ifo 2 e 3 per ricevere altre persone e il campo Kambioos al Sud di Hagadera. Ognuno di questi campi ospita oggi circa 120mila rifugiati costituendo il complesso di rifugiati più grande del mondo con 450 mila abitanti. Qui ogni giorno entrano decine di famiglie (specie donne e bam- bini): dalle 1.200 alle 1.500 per- sone che camminano per 24 giorni in condizioni disastrose, o vengono portate su carretti di fortuna o in qualche camion dove sono stipati come animali da macello. Quando arrivano sono in condizioni di fame, de- grado, sofferenza, insicurezza, malattie e disperazione silen- ziosa. Il vero povero non prote- sta mai, ma guarda e spera. RIFUGIATI E RIFUGIATI Ci sono due tipi di rifugiati: quelli che veramente scappano dalla guerra dei clan e dalla fame che imperversa nel paese, e quelli che sono membri di qualche gruppo armato (come Al Sha- baab o altre milizie) e che conti- nuano a seminare terrore e guerra dovunque siano. Nei campi ci sono tante armi che ali- mentano anche il commercio clandestino in altre aree del paese. Chi arriva al campo deve passare all’ufficio di registrazione per avere il proprio posto nel clan al quale appartiene, la carta d’i- dentità, una tenda, il bonus per mangiare, per l’ospedale ecc. Ogni famiglia registrata riceve un pacco di cibo per 3 settimane (mais, riso, fagioli, pasta, soia). Tutti hanno accesso ad acqua gratis, assistenza medica e me- dicine, educazione libera nel si- stema scolastico del Kenya. Tutto questo organizzato da World Food Program (Wfp, agenzia delle Nazioni Unite per la lotta contro la fame) con di- verse associazioni e Ong fra cui GENNAIO-FEBBRAIO 2012 MC 11

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