Missioni Consolata - Dicembre 2011
mente strappati dalla loro terra. Milioni di persone sono state sti- pate, peggio delle bestie, nelle navi europee e hanno solcato l’Oceano Atlantico nella più com- pleta disperazione. Tanti, troppi sono morti durante il lungo viag- gio, i più fortunati sono giunti a destinazione per essere venduti come schiavi per i lavori più duri e umilianti. Mescolati tra loro per cancellare ogni contatto con i familiari e il gruppo di prove- nienza, hanno perso lingua, cul- tura, identità e sono diventati macchine anonime per il profitto dei dominatori. Gli schiavizzatori non hanno potuto comunque di- struggere la vitalità di queto nuovo popolo che ha trovato la forza di ribellarsi e continuare a credere nella vita e nella possi- bilità di un futuro per i suoi figli in questa nuova terra. Il fenomeno dei «Palenques», i forme di resistenza per poter so- pravvivere nonostante tutto? C’è «qualcosa» di incomprensibile per noi e sempre da rispettare, studiare e approfondire… Quello che appare e preoccupa è co- munque il disinteresse di fronte al problema, la mancanza di or- ganizzazione e solidarietà per affrontarlo, la passività cronica di fronte a mille ingiustizie. Forse la nostra gente ha scelto di continuare ad amare la vita e di resistere con la musica e la danza e per questo continua a ballare nonostante tutto. In que- sti giorni si è svolto ancora una volta il Festival nazionale del Bullerengue , il gioioso ballo ti- pico della nostra regione. Ci sal- veremo anche questa volta? Speriamo! Intanto tentiamo di accompagnare con alcune pic- cole iniziative il nostro popolo annunciando il Signore Gesù che nasce nuovamente per noi e na- sce in ogni bimbo per assicurarci che «Dio non si è ancora stan- cato degli uomini». DOPO LA SCHIAVITÙ... (PASQUA 2009) Anche il nostro popolo afroco- lombiano aspetta la sua Pasqua dopo lunga e penosa schiavitù, iniziata tanti anni fa quando cri- stiani senza scrupoli hanno de- ciso di utilizzare milioni di afri- cani per i loro sporchi interessi economici e li hanno violente- tipici villaggi fortificati costruiti da schiavi fuggiti dalle grandi fa- zendas e dalle miniere, è stato la risposta a questa domanda di li- bertà che può essere garantita solamente da una terra propria da coltivare per sopravvivere e sviluppare nuove relazioni e una nuova cultura. Ma anche quelli che non hanno potuto fuggire dalla schiavitù hanno escogitato mille forme di resistenza con il canto, la danza, racconti e tradi- zioni trasmesse, e soprattutto con le donne che hanno conti- nuato a mettere al mondo figli e ancora figli. C’é chi afferma che il futuro non è di chi attacca ma di chi resiste, e gli afro, la nostra gente, continua a resistere e a mettere al mondo figli, grave mi- naccia per i faraoni di turno. La storia afro in Colombia e in America è un’epopea di resi- stenza: prima agli spagnoli e poi ai loro discendenti. Nonostante abbiano costruito, con il lavoro nelle grandi fattorie e nelle mi- niere, la ricchezza di questo paese e siano stati protagonisti nella lotta per l’indipendenza, gli afro non hanno mai partecipato alla divisione delle terre con i ge- nerali della repubblica, dovendosi così accontentare di dissodare terre incolte e malsane. Nel 1821 hanno avuto un minimo riconoscimento con la «l ibertad de vientre », cioè la possibilità ai nuovi nati di non essere conside- rati schiavi. Il decreto di aboli- zione della schiavitù, firmato il 21 maggio 1851 ed entrato in vigore il 2 gennaio dell’anno seguente, non ha modificato la situazione in modo sostanziale, perché sono poi nate inedite forme di schiavitù e di emarginazione. Tra il 1960 e il 1970 sono soffiati nuovi venti a livello internazionale DICEMBRE 2011 MC 81
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