Missioni Consolata - Dicembre 2011
64 MC DICEMBRE 2011 OSSIER tratto di brughiera con un mucchio di tavole per la futura costruzione. I portatori dei pochi bagagli, ricevuta la mercede, si squagliarono in cerca di qualche capanna ospitale per passarvi la notte. Il padre, rimasto solo col suo cagnolino, si affrettò a piantare una vecchia tenda sdruscita. Consumò la sua magra cena, dividendola cameratescamente col suo botolo fedele, che con gli occhi fissi sulla bocca del padrone contava i bocconi, aspettando impaziente e supplice che di quando in quando venisse il suo turno. Poi il padre Dolza, reci- tate le orazioni, stese due tavole nella tenda, si av- volse in una coperta e vi si coricò come in un mor- bido letto. Si era nella stagione delle piogge. Il cielo appariva carico di nuvoloni pesanti e l’oscurità pro- fonda. Allegra esperienza, trovarsi in un angolo sperduto dell’Africa, lontano le diecine di miglia dal primo centro civile, solo, di notte, in una tenda pre- caria, con un uragano imminente e numerose iene affamate vaganti all’intorno! E l’uragano venne più violento e più rabbioso che mai, con un ventaccio sì furioso che pareva che tutti i diavoli del Jombene soffiassero su quella povera tenda. Il padre Dolza conosceva l’Africa e sapeva che il terreno rammollito dalla pioggia rallentava la sua presa sui piuoli; perciò stimò prudente alzarsi e aggrapparsi tenacemente al palo centrale della tenda, la quale già dava segni di collasso. Fatica inu- tile! Un colpo di vento furibondo investì la tenda; il palo bagnato gli scivolò dalle mani e la tenda scom- parve nel buio; la fioca lampada da campo, rove- sciata, diede un guizzo e si spense. La pioggia veniva giù come una doccia a tutta pres- sione e in pochi minuti il povero missionario fu ba- gnato fino all’osso. Brancicando nel buio, cercò af- fannosamente la cassetta dell’altarino portatile, e, trovatala, vi si sedette sopra per salvare dal diluvio le ostie e gli indumenti sacri. Così raggomitolato e assiderato, la pioggia lo flagellava senza pietà. Il ca- gnolino gemeva pietosamente e invano cercava un riparo sotto le ginocchia del padrone. Tutt’intorno si sentivano i grugniti soppressi, i singulti e le sghi- gnazzate beffarde delle iene. A tratti, lividi lampi squarciavano l’oscurità. Il padre Dolza non era un pusillanime, e tanto meno un novellino d’Africa, ep- pure confessò che in quella notte molte lacrime si mescolarono con la pioggia. Quanto durò questa tor- tura? Durò fino a quando una pallida luce annunziò il nuovo giorno. Allora, malgrado fosse rotto e fradi- cio, dovette muoversi per non morire assiderato. La pioggia cessò a poco a poco con l’inoltrarsi del giorno e il missionario si accinse a preparare l’alta- rino e a celebrare la prima messa nella nuova mis- sione. Così ebbe inizio la sua vita di missione vera e pro- pria. LA CASA E LA MALARIA Nel frattempo il fratel Benedetto Falda lavorava con ritmo accelerato e febbrile, ed un bel giorno arrivò a Mekindori una carovana che portava il necessario per fabbricare una casetta decente e solida. Ma fra- tel Davide, incaricato di questa costruzione, era im- pegnato altrove e per alcuni mesi non sarebbe stato disponibile. Il padre Dolza fece accatastare tutto quel legname avendo cura di lasciarvi un buco nel mezzo, un antro buio e scomodo per dimorarvi, che però aveva il van- taggio di non venire asportato, come la tenda, nelle notti di tempesta. Nel frattempo, con l’aiuto della gente del luogo, provvide a far fabbricare una capanna per ospitare il fratello che doveva venire a costruire, ed intanto cominciava a farsi una cerchia di amici fra gli abi- tanti dei dintorni. Ma lasciato a se stesso e propenso com’era a far pe- nitenze e digiuni per vincere, come diceva lui, i dia- voli del Jombene, e più ancora fiaccato da violenti attacchi di malaria, in breve venne ridotto a tal punto di esaurimento che i padri delle missioni limi- trofe ne rimasero seriamente preoccupati. Un giorno il padre Calandri, residente a Ighembe, si incontrò col padre Manfredi, che veniva da Toro, e discutendo sul caso, gli disse: «Se rimane ancora qualche tempo in quella tana, da solo, un giorno o l’altro lo troveremo stecchito... o pazzo!». I due missionari decisero quindi di andare in suo soc- corso; si recarono assieme a Mekindori per portar- selo ad Ighembe finché si fosse ristabilito. Arrivati a Mekindori, il padre Dolza non si vedeva. Un nero accennò loro la catasta di legname. Bussa- rono alla barricata della tana; silenzio di tomba.
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