Missioni Consolata - Dicembre 2011

32 MC DICEMBRE 2011 Così sta scritto gine e somiglianza di Dio» (Gen 1,27). Ubbidire imi- tando è il modo per mettere sempre più a fuoco l’im- magine divina che c’è in ciascuno di noi e mantenerla sempre nitida e trasparente. A questo punto si può aprire un capitolo sull’obbe- dienza religiosa vincolata anche con un voto: il monaco, la suora, il religioso sono chiamati non a rinunciare alla loro volontà, ma a conformarla a quella del Signore, imitandolo nelle scelte e nell’impegno della vita: cosa farebbe Gesù se fosse adesso, qui e ora presente e al mio posto? Qui sta il cuore dell’alleanza sia del Sinai che di Cana: è la rivelazione e la manifestazione dell’e- sempio che si fa profezia di evangelizzazione. Oggi nella Chiesa abbondano le parole, le esortazioni, le prediche, estrapolate dalla vita e per questo sono parole deboli, fragili e di conseguenza vuote. Domina il principio di autorità che si basa sull’obbedienza passiva e senza intelligenza: bisogna obbedire perché lo dice chi comanda. Il fondamento della fede in questo conte- sto non è la persona di Dio o la sua Parola rivelata, ma il culto della personalità, che in termini biblici è idola- tria peccaminosa. La vera profezia del Regno, il vero «vangelo dell’al- leanza» si esprime nella testimonianza della vita, nella profezia dell’esempio, che s’impone da se stesso prima ancora di esigere una spiegazione. L’esempio/testimo- nianza prima della parola è l’esatta incarnazione del principio dell’alleanza dell’Esodo: «Faremo prima e ob- bediremo dopo ». Fare quello che egli dice e compiere quello che egli fa è la sintesi perfetta della fede adulta e libera, perché cia- scuno dei credenti diventi a sua volta « Dabàr », una pa- rola ebraica molto importante nella logica biblica. Essa ha due significati, apparentemente contrapposti, ma in- timamente connessi e identici. Significa «parola/detto», ma ha anche il senso di «fatto/evento». È ciò che avviene nella creazione: «Dio disse... E così avvenne» (Gen 1, passim ). In Dio mai la Parola è sepa- rata dall’evento, perché Dio parla agendo e agisce par- lando. In lui parola e azione s’identificano. A Cana obbedienza, rivelazione e testimonianza sono sinonimi, perché sono l’anticipo e la premessa dell’e- vento degli eventi: «Il Lògos carne fu fatto» (Gv 1,14), la Parola diventa Pane, il Pane rivela la fragilità di Dio che è il «luogo» privilegiato, l’arca dell’alleanza dell’incon- tro con gli uomini e le donne, i fragili dell’umanità. (27- continua) gnifica avere intimità e quindi reciprocità di dipen- denza. L’espressione biblica invece è propria della cultura egiziana faraonica ed esprime l’idea di una di- pendenza totale e significa «al tuo comando»: al co- mando di Giuseppe tutto il popolo egiziano deve pro- strarsi, bocconi a terra, pronto a obbedire senza al- cuna remora. Quanto al secondo tema, quello della rivelazione, rite- niamo che sia il faraone con tutta la sua autorità so- lenne a «manifestare» Giuseppe come «il salvatore» dell’Egitto, colui che impedirà al popolo di morire di fame e di sete; e lo stesso Giuseppe si manifesta: «Giuseppe partì per visitare l’Egitto» (Gen 41,46) per mostrarsi a tutto il paese e dare ordini e prepararsi in vista della carestia. Attraverso Giuseppe l’Egitto e lo stesso faraone sanno che non è Giuseppe «il salva- tore», ma il Dio di Israele perché «non io, ma Dio darà la risposta» (Gen 41,16). Giuseppe e Gesù sono «pieni dello spirito di Dio»: come il faraone vide lo spirito di Dio su Giuseppe (cf Gen 41,38), anche Giovanni Battista vede scendere lo Spirito di Dio su Gesù (cf Gv 1,32). Citando le parole del faraone, la madre di Gesù, o me- glio l’Israele fedele all’alleanza, vuole mettere espres- samente in rapporto Giuseppe e Gesù, presentando quest’ultimo come il nuovo patriarca che si prende cura della fame e della sete, cioè della vita del popolo. In ebraico Giuseppe si dice « yasàph » e vuol dire «Dio aggiunge/aumenta» e in questa circostanza Giuseppe, il patriarca, aumenta il pane e fa arretrare la carestia. Gesù in ebraico si dice « Joshuà » e significa «Dio è salvezza». Nel loro risultato finale i due nomi s’incon- trano, perché ambedue sono la salvezza dei rispettivi popoli: danno la vita. Come tutto il popolo di Egitto deve schierarsi agli or- dini di Giuseppe, ora a Cana i servi/diaconi devono eseguire tutto quello che Gesù dirà loro di fare. UBBIDIRE È IMITARE NELLA TESTIMONIANZA Non solo i servi/diaconi, ma anche la madre di Gesù non sa quello che egli farà; infatti l’invito ai diaconi è fatto nella forma dell’eventualità («qualunque cosa vorrà dirvi»). I servi somigliano ai discepoli che parte- cipano alla lavanda dei piedi, ma non sanno quello che egli fa, fino al punto che Gesù stesso deve chia- rirlo per due volte: « 7 Rispose Gesù [a Simon Pietro]: “ Quello che io faccio , tu ora non lo capisci; lo capirai dopo”... 12 Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Ca- pite quello che ho fatto per voi ? 13 Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14 Se dunque io, il Si- gnore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete la- vare i piedi gli uni agli altri. 15 Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi » (Gv 13,7-15). L’episodio citato si trova all’inizio della seconda parte del vangelo di Gv, esattamente nel «libro dell’ora», quello della rivelazione definitiva sulla croce, che è il trono della gloria del Messia. Si usa sempre lo stesso verbo di Cana « poiè ō - io faccio/opero/creo ». Se consi- deriamo l’insieme del vangelo, possiamo concludere che l’invito della madre non è solo quello di ubbidire senza condizione, «fate quello che vi dirà», ma anche di «fare quello che lui stesso fa», cioè di imitarlo come Gesù medesimo richiede: «Vi ho dato l’esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15). Non basta ubbidire, bisogna imitare. Senza imitazione l’obbedienza può essere alienazione, deresponsabilità. Nessuno può abdicare da se stesso, creato «a imma- # Le nozze di Cana nell’interpretazione di Pietro Ivaldi, detto il Muto di Toleto (1810-1885).

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