Missioni Consolata - Dicembre 2011

IL RACCONTO DELLE NOZZE DI CANA (27) UBBIDIRE È IMITARE «Andate da Giuseppe; fate quello che vi dirà» (Gn 41,55) a cura di Paolo Farinella, biblista Così sta scritto DALLA BIBBIA LE PAROLE DELLA VITA (61) MC RUBRICHE 30 MC DICEMBRE 2011 R iprendiamo il versetto cinque che abbiamo iniziato ad analizzare nella puntata pre- cedente, dove abbiamo visto che il rapporto tra Sinai e Cana è intenso e profondo, ma non si esaurisce, perché l’autore del vangelo vuole portarci a spaziare anche nella storia prima dell’esodo: la storia dei patriarchi, che è come il preambolo all’e- popea dell’Esodo e quindi anche premessa della rivelazione di Gesù Cristo «figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1,1). «VERGINE MADRE, FIGLIA DEL TUO FIGLIO» Dopo la risposta di Gesù («Donna, che c’è tra te e me», Gv 2,4) che abbiamo spiegato a lungo, la madre non si rivolge a Gesù per supplicarlo di intervenire, ma ai «diaconi». Ella sa di non avere alcun potere sul figlio, perché da questo momento mutano i rapporti precedenti e la relazione di sangue lascia il passo a quella della fede: «Che c’è tra me e te?». O meglio, il rapporto naturale madre-figlio si trasforma, arricchendosi, nel rapporto tra Figlio e madre/figlia, tra il Signore e la Chiesa. La fede, infatti, non elimina la natura, ma, inglobandola, la trasforma: «Chi è mia ma- dre e chi sono i miei fratelli? ... chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3,33-35). Solo Dante Alighieri, ispirato dallo Spirito Santo, ha colto la profondità di questa relazione unica: «Vergine madre, figlia del tuo Figlio» (Par. XXXIII,1). Le parole che la madre rivolge ai diaconi/servi sono prese alla lettera dalle parole che il faraone di Egitto rivolge al suo popolo all’inizio della siccità che durerà sette anni. Al popolo che ha fame e chiede da mangiare, il faraone non dà pane, ma un invito ad andare oltre di lui. L’onnipotente faraone si mette in seconda fila e lascia il posto a Giuseppe, l’ebreo schiavo divenuto governa- tore, che aveva previsto la carestia e aveva indicato la soluzione per superarla (Gen 41,53-57). La madre conosce la Scrittura e, forse, è a Giuseppe che volge lo sguardo del cuore quando ga- rantisce alla parente Elisabetta che il Signore «ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1,52). La madre non è il faraone, ma la voce di un popolo affamato del Messia e della sua liberazione, è la figlia di Israele che geme nella morsa della fame, dell’emarginazione e dell’impurità cultuale; la madre è il simbolo dell’abbandono desolato in cui versa il suo popolo: « 6 Dalla figlia di Sion è scomparso ogni splendore... 7 Gerusalemme ricorda i giorni della sua miseria e del suo vagare... 9 e nessuno la consola... 11 Tutto il suo popolo sospira in cerca di pane; danno gli oggetti più preziosi in cambio di cibo, per sostenersi in vita... 17 Gerusalemme è divenuta per loro un abominio... 19 cercavano cibo per sostenersi in vita. 20 Guarda, Signore, quanto sono in angoscia; le mie viscere si agi- tano, dentro di me è sconvolto il mio cuore» (Lam 1,6.7.9.11.17.19.20). La figura di Giuseppe è l’àncora di salvezza che viene in soccorso dal passato e indica la pro- spettiva futura. Davanti alla madre che invoca i giorni della salvezza per il suo popolo, ora c’è il nuovo patriarca Giuseppe, «colui che aggiunge/aumenta» e che inaugura il nuovo tempo, il « kairòs » dell’abbondanza senza fine, come il patriarca antico salvò Israele dalla carestia, sal- vando l’Egitto dalla fame: «Tutta la terra d’Egitto cominciò a sentire la fame e il popolo gridò al faraone per avere il pane. Il faraone disse a tutti gli egiziani: “Andate da Giuseppe; fate quello che vi dirà”» (Gen 41,55). L’autore di Genesi ci tiene a sottolineare che «Giuseppe aveva trent’anni quando entrò al servizio del faraone, re d’Egitto» (Gen 41,46). Anche Gesù ha circa la stessa età quando la madre invita i servitori a ubbidirgli. GV 2,5: [E] DICE SUA MADRE AI DIACONI/SERVITORI: «QUELLO CHE VI DIRÀ, FATE[LO]» [lèghei h ē mêt ē r autoû toîs diakònois: Hò ti an lègh ē i hymîn poiêsate]

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