Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2011

AGOSTO-SETTEMBRE 2011 MC 45 nuta. Per evitare un’urbanizzazione troppo rapida e disor- dinata, occorrerebbe uno Stato che garantisse servizi alla gente che vive fuori dalle città: trasporti, luce, scuole, ospe- dali. Ma non è così». Il Brasile è un paese in rapida espansione, guardato con ammirazione damolti... «Ci sono le strutture democratiche come il voto, i gior- nali, ma la maniera di pensare è premoderna. I governi continuano ad essere clientelari. Per rimanere in Amaz- zonia, si pensi ai piccoli centri dove il sindaco tiene nelle proprie mani l’economia. Chi oserà sfidarlo votandogli contro sapendo che poi potrebbe perdere il lavoro o che lo potrebbero perdere i propri familiari? Per cambiare que- sto stato di cose occorre educazione e un adeguato pe- riodo di tempo». Oltre all’urbanizzazione selvaggia e al clientelismo politico, ci sono altre situazioni che voi missionari avete osservato? «Altro grave problema che la gente non si immagina, forse uno dei peggiori, è che l’Amazzonia è in mano al narcotraf- fico. Le periferie delle città sono ostaggio del commercio e del consumo di droghe. Il 50%della violenza di questa città nasce dalla droga. Troppi giovani delle periferie non ve- dono altra soluzione alla propria esistenza che fumare ma- conha 1 o sniffare coca. Quanto alla produzione di droga in Amazzonia, non ho dati certi ma c’è». Lei parlava di 40 milioni di abitanti in tutta l’Amazzonia. Quanti sono gli indios?Abbiamo trovato cifremolto discor- danti... «Nel censimento brasiliano del 2000 ci furono 750 mila persone che si dichiararono indios 2 . Ma 10 anni prima erano la metà. Cos’era successo per provocare un muta- mento di questa portata? Qualcosa era cambiato nella co- scienza politica nazionale per cui era conveniente dichia- rarsi indios. Anche nel mondo è successa una cosa simile: prima essere indigeni era considerata un’umiliazione, in seguito è divenuta una caratteristica di cui andare orgo- gliosi. Ebbene, di queste 750 mila persone la Funai 3 ne ri- conosce come indios 380-400mila. Uno degli imbrogli della politica indigenista brasiliana è che un indio deve vivere in territorio indigeno. La metà dunque non sono riconosciuti come indios dallo Stato, quella metà che vive nelle città: da Rio a San Paolo aManaus. Queste persone sono nate in città, non parlano lingue indi- gene. Però sono indios e si sentono indios. Si tratta di una realtà che dà fastidio ai bianchi e al go- verno, perché non sanno come porsi di fronte a loro. Ma è una realtà che spesso produce problemi anche all’interno delle comunità indigene: “voi non parlate la lingua indi- gena”, “voi non avete sangue completamente indigeno”, ec- cetera. Insomma, ci sono problemi che non trovano solu- zione né da una parte né dall’altra». M anaus. Roberto Jaramillo, colombiano di Maniza- les, è inAmazzonia da 15 anni. Gesuita da 30, da 6 è superiore della provincia gesuitica che fa capo a Manaus. «Non siamo molti: 44 nell’Amazzonia brasiliana includendo gli studenti, 85 nell’Amazzonia continentale». Padre Jaramillo è antropologo e, fin dai tempi della sua tesi universitaria, ha studiato le problematiche legate agli «in- dios urbani». L’idea che si ha dell’Amazzonia spesso non corrisponde alla realtà. Padre Roberto, lei condivide questa afferma- zione? «Sì, per l’Amazzonia l’immaginario non coincide con la realtà. Si immagina una terra senza uomini, mentre ci sono 40 milioni di abitanti, la maggioranza in zone urbanizzate, con tutti i problemi che presenta l’urbanizzazione latinoa- mericana». Arrivando via fiume s’incontrano case isolate e piccoli vil- laggi, poi in mezzo alla foresta compare Manaus con le sembianze di unametropoli... «Manaus ha quasi 2 milioni di abitanti, ma soltanto il 17% di essi usufruisce di un sistema fognario. Pertanto, la gran parte dei residui biologici e chimici viene di- sperso nell’ambiente, nell’acqua. Un altro paradosso: nella città che sorge a lato del più grande fiume del mondo soltanto il 32% riceve acqua in casa, mentre il re- sto della popolazione deve arrangiarsi con acqua non purificata. Questi fatti mettono in risalto un’altra carat- teristica: nelle città amazzoniche - Manaus, Santarem, Belém e le altre più piccole – il divario tra ricchi e poveri si manifesta più che nelle città della costa. Qui la con- centrazione della ricchezza è assai più grande». Abbiamo incontratomolta gente di altri stati brasiliani che si trasferiva aManaus per lavorare. Come si spiega? «Alla fine degli anni Sessanta, per attrarre investimenti, la giunta militare istituì la zona franca di Manaus, l’unica zona franca del Brasile. Oggi si parla di 500 industrie (in particolare elettroniche - Sony, Thompson, Philips -, ma an- che la Honda con le sue moto e molte altre) per circa 100mila posti di lavoro. Gran parte di essi sono, però, lavori con contratti temporanei, soprattutto per le donne. Questo significa chemoltissimi lavorano per 2-3mesi e poi vengono licenziati senza avere diritto a ricevere alcuna indennità. Senza dimenticare che un pugno di famiglie locali - quelle che a Manaus posseggono tutto - fanno affari con gli inve- stitori di San Paolo, di Rio, del Paranà. Insomma, non è di Manaus né il denaro e nemmeno il beneficio». Qual è la principale conseguenza sociale di questa urbaniz- zazione selvaggia? «Credo che la urbanizzazione sia un fenomeno inevitabile. Una dinamica irreversibile, che può soltanto essere conte- I NCONTRO CON R OBERTO J ARAMILLO , GESUITA E ANTROPOLOGO L’IMMAGINARIO E LA REALTÀ Chi sono e come vivono gli abitanti dell’Amazzonia? Com’è la condizione dei po- poli indigeni? Che tipo di sviluppo si sta perseguendo? Sull’Amazzonia si dicono molte cose inesatte. Con una sola certezza: i problemi di questa regione, unica al mondo, sono enormi. E la soluzione è molto lontana, forse irraggiungibile.

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=