Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2011
36 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2011 MELILLA, SPAGNA «Era l'ottobre del 2005 - ricorda Giorgio Calarco, di Medici senza frontiere, all’epoca medico attivo sul territorio di Nador, cittadina marocchina cresciuta intorno all' enclave spagnola di Melilla - mi hanno te- lefonato in piena notte: i militari marocchini stavano deportando oltre 600 persone nel deserto tra Ma- rocco e Algeria, nei pressi di Rachidi. Avevano cer- cato di scavalcare la rete di Melilla tutti insieme, la polizia ha sparato uccidendo 6 persone, ha arrestato gli altri e li ha caricati su due pullman. Il giorno seguente siamo partiti per cercarli, ab- biamo visto i segni degli pneumatici dei pullman che facevano dietro front nel deserto e li abbiamo tro- vati. Molti avevano ancora ferite sanguinanti, mal medicate e ormai infette. Ci hanno detto che 13 per- sone erano morte nella notte. Ma non abbiamo mai trovato i corpi». Nel gruppo, ricorda Calarco, c’era anche un signore distinto con un completo grigio e le ciabatte ai piedi: era un maliano che, uscito di casa senza portare con se i documenti in regola, era stato arrestato e depor- tato nel deserto con gli altri. L’incredibile racconto di Giorgio Calarco testimonia gli «effetti collaterali» dei cosiddetti patti bilaterali realizzati dai paesi europei con paesi non comunitari in materia di «lotta all’immigrazione clandestina». Nel tentativo di fermare i «flussi di migranti» e «preservare lo status quo » dei «propri» cittadini. La Spagna del socialista Zapatero, è stata tra i primi paesi ad adottare queste politiche: a partire dal 2004 ha promosso il «Sistema integrale di vigilanza esteriore» (Sive), realizzato grazie alla cooperazione poliziesca con le forze dell’ordine marocchine. Il si- stema è basato su un accordo di riammissione in Marocco dei migranti entrati illegalmente in Spagna e sulla realizzazione di pattuglie miste ispano ma- rocchine a controllo delle frontiere delle due enclave spagnole, in cambio di ingenti aiuti al «paese emer- gente». Il Sive, dal punto di vista dei numeri, ha si- curamente dato i suoi frutti. L’esternalizzazione dei controlli sui migranti oltre la frontiera dell’Unione europea (Ue) apparentemente è riuscita a frenare l’ingresso in Europa dal Ma- rocco, impedendo che il paese arabo continuasse ad essere il terminale delle partenze dei subsahariani verso la Spagna e il continente. Ma non sono stati tenuti presenti i possibili effetti «collaterali», che sono risultati essere molto rilevanti. La chiusura della via marocchina ha infatti incrementato le par- tenze per mare dalla Mauritania, da dove solo nei primi tre mesi del 2006 sono giunti alle isole Cana- rie circa 3.000 migranti (per la maggior parte sene- galesi e maliani). E quando il governo di Madrid ha provveduto a «militarizzare» anche la costa mauri- tana, le partenze si sono spostate sempre più a Sud, fino ad arrivare al Senegal e ai paesi del Golfo di Guinea. A costo di un numero impressionante di morti annegati. E quando anche questa via è stata «militarizzata», i flussi migratori hanno cambiato rotta, passando da Tunisia e Libia, per arrivare in Europa attraverso l’Italia. Al suo interno la «Fortezza» si organizza per respingere gli invasori. E con i «patti bilate- rali» si militarizzano le coste di partenza dei migranti. Si crea così Frontex, agenzia comu- nitaria a «protezione delle frontiere». Ma i danni «collaterali» sono le vittime dei respingi- menti. E le associazioni di volontariato cercano di dare soccorso. Dentro le mura LA DIFESA DELLA FORTEZZA
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