Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2011
CASA AFRICA «Pochi mesi fa Casa Africa era un’altra cosa - rac- conta Adam, sudanese del Darfur che vive nello squat Casa Africa di Calais da quattro mesi -. Poi la polizia un giorno è arrivata con le ruspe e ha spia- nato tutto quello che c’era all’interno dei capan- noni». Compresi gli effetti personali di chi vi abitava. E i cumuli di macerie agli angoli degli stanzoni vuoti, con materassi a terra e fuochi accesi per scaldarsi e cucinare, testimoniano ancora l’operazione. Unica oasi ordinata: un’area di tappeti di una decina di me- tri quadrati, circondata da un bordo di legno, nella quale pregano a turno i musulmani. «Sono scappato dal mio villaggio nel Sud Ovest del Sudan - racconta Adam uscendo dalla zona di preghiera - inseguito dall’esercito che voleva arruolarmi». I militari sono arrivati a cavallo nella notte, hanno portato tutti fuori dalle case e le hanno incendiate. «Mi ricordo le frustate che schioccavano nell’aria - continua Adam -. Sono subito scappato il più lontano possibile». Adam è stato successivamente internato in un campo profughi. E non ha mai più saputo nulla dei suoi fratelli e dei suoi genitori. «Sono arrivato a Lampedusa nel 2009 - racconta il sudanese - ed ho chiesto asilo a Roma. Ho anche chiesto che mi aiutas- sero a rintracciare la mia famiglia, ma nessuno è ri- uscito a saper nulla. Ora aspetto il momento giusto per passare in Inghilterra. Nella speranza che non mi scoprano, altrimenti mi rispediscono a Roma. Dove hanno le mie impronte digitali». Poco distante da Casa Africa, in rue de Moscov , nel centro storico di Calais, c’è un grande piazzale asfal- tato dove all’ora dei pasti si accalcano centinaia di persone in attesa. È il centro di distribuzione del cibo messo a disposizione dal Comune alle associazioni che si occupano dei migranti. Si danno il turno tra as- sociazione Salam, La Belle Etoile, Secours Catholique e l’Auberge des Migrantes. Garantendo la distribu- zione di colazione alle 10, pranzo alle 12 e cena alle 18. «Sono arrivato da due settimane a Calais» racconta Hassan con la faccia sconvolta, in un italiano fluente. Dormiva nello squat chiamato «Casa Palestina» quando sono arrivati i poliziotti. L’hanno arrestato e tenuto tutta la notte in centrale con le manette. È stato appena rilasciato e mostra i segni rossi ai polsi. «Sono arrivato a Lampedusa dalla Libia e ho vissuto sette anni in Italia, a Vigevano. Facevo l’idraulico e stavo bene. Avevo la casa, l’automobile, andavo in discoteca con gli amici. Ma ora in Italia c’è la crisi, la mia ditta ha chiuso ed io ho perso il permesso di soggiorno, come tanti miei amici stranieri. Ma qui in Francia è terribile. Non si può vivere così. Provo ancora una set- timana a passare in Inghilterra. Se non ci riesco torno in Italia. Se solo avessi i soldi per passare…». E sì, perché anche qui chi ha tra i 500 e i 1.000 euro a disposizione per pagare il passeur , arriva in Inghil- terra senza problemi. Attende direttamente a Pa- rigi, per essere poi nascosto in un camion che attra- versa la Manica nell’Eurotunnel o su un traghetto del porto di Calais. Ma chi non ha soldi può solo ten- tare la fortuna. Sperando di passare indenne i con- trolli. Magari con un sacchetto di plastica in testa per non rilasciare anidride carbonica che potrebbe essere rilevata dagli apparecchi della polizia. AGOSTO-SETTEMBRE 2011 MC 35 MC EUROPA PROIBITA terra, dove alcuni amici dei suoi parenti erano ri- usciti a costruirsi una nuova vita. Come i suoi con- terranei ancora bloccati a Patrasso è entrato in Iran attraverso le montagne per poi andare in Turchia. Da lì si è introdotto illegalmente in Europa attra- verso la Grecia. «Sono stato bloccato per due anni a Patrasso - racconta sorridendo -. Poi dopo tantissimi tentativi, finalmente sono riuscito a passare nasco- sto in un camion che è sbarcato a Venezia». In treno, attraverso il Col di Tenda, è arrivato a Parigi. E via fino a Calais, dove lo aspetta l’ultimo sforzo che lo divide dalla sua meta. Simone, il fotografo che mi accompagna in questo viaggio, mostra le foto fatte a Patrasso, nel campo degli afghani. Yasir riconosce immediatamente Has- san e gli altri suoi amici. «Tra tre o quattro giorni avrà fatto il salto dall’altra parte, in Inghilterra. Come tutti». Spiega Sylvie Copyans. Cinquantadue anni, ex impiegata di banca, Sylvie è uno dei soci fondatori di Salam, associa- zione di Calais che fornisce aiuto umanitario a mi- granti clandestini. Seduta ad un tavolino del café brasserie «La Tour» della centrale Place d’Arme of- fre una Coca Cola al giovane afghano. «Qui in Fran- cia non possono fermarlo - continua la donna -. Ha 15 anni, è minorenne, e dovrebbe essere a scuola». Invece vive accampato come tanti altri suoi conna- zionali tra quello che resta della «Forest», un bosco ai margini della zona industriale di Calais, e i bunga- low occupati abusivamente sulla spiaggia. Spiaggia dalla quale, ironia della sorte, si vedono le bianche scogliere di Dover dall’altra parte dello stretto della Manica. Oujda, Marocco. Un gruppo di clandestini nel bosco dietro l’Univeristà. Melilla. Una migrante prima dell’ingresso nel Centro temporaneo di immigrazione.
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