Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2011
34 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2011 spingono le barche». «Io ci sono stato: ho lavorato tre anni a Tripoli per pagarmi il passaggio verso Lampe- dusa. Poi la polizia italiana ci ha fatto tornare indietro. Eravamo 18, nella traversata i più deboli sono morti». Amir, iracheno sulla ventina, è arrivato a Patrasso con un colpo di arma da fuoco in corpo. Cosa che, conferma Johannis Lamprous dell’associazione Ki- nisi, accade spesso. Ora è guarito e, con una decina di ragazzi afghani, attende che un tir si fermi al sema- foro per balzare sotto il rimorchio. Con il rischio di essere arrestato dalla polizia. «Il modo per andare in Italia ci sarebbe» dice Magal, giovane afghano. «Basta avere i soldi e un passaggio si trova». Lo prova il recente ritrovamento da parte della polizia portuale di Patrasso di un camion con 25 immigrati nascosti in un doppiofondo. «Questi traf- fici sono organizzati direttamente da Atene, da lì ar- rivano i camion carichi di clandestini diretti nei porti di Venezia, Ancona o Bari» spiega Mihalis Sidiropou- los, studente di legge attivista di Kinisi. Il costo del «passaggio» è variabile, può arrivare a 2.000 euro. Nel frattempo, per i clandestini senza soldi, anche la strada dell’imbarco dal porto di Patrasso si sta chiu- dendo. Negli ultimi mesi solo poche decine di ragazzi sono riusciti a partire. E ancora meno a superare i controlli italiani nel porto di destinazione. Una nuova via sembrava essersi definita attraverso la Turchia, verso le frontiere con la Repubblica di Macedonia. Poi Serbia, Ungheria e Austria. Ma con l’esplosione delle rivolte in Tunisia, Algeria e con l’intervento Nato in Libia, tutto è nuovamente cambiato. E si è ri- aperta d’improvviso la via di Lampedusa. «Ieri mi ha chiamato un amico che dormiva con noi, qui nella “ forest ” - racconta Hassan, giovane af- ghano -. Lui ce l’ha fatta. Era appena arrivato a Ca- lais, in Francia. E tra pochi giorni finalmente arri- verà in Inghilterra». Meta di molti migranti prove- nienti da paesi anglofoni. CALAIS, FRANCIA Scende la notte sul porto di Calais, affacciato sullo stretto della Manica, nel Nord della Francia. Le luci a giorno rischiarano il piazzale asfaltato, cinto da una rete alta tre metri, dove stazionano i camion in attesa dell’imbarco per l’Inghilterra. È praticamente territorio inglese, nel senso che uomini e merci arri- vano dopo aver passato la dogana. Fatta di controlli rigorosi: controllo delle bolle di carico, apertura dei container , inserimento di pertiche di ferro nei passa ruota e sotto la scocca dei camion, rilevazione attra- verso apparecchi elettronici di eventuale anidride carbonica emessa da «clandestini» nascosti nel ca- rico. Yasir, l’amico di Hassan di Patrasso, percorre rue de Moscov , passa il ponte Ventillard che divide la città vecchia dal porto, cammina lungo il perimetro della rete e all’improvviso, con agile mossa, entra. Imme- diatamente scatta un allarme e arriva un’auto della polizia inglese. Yasir viene bloccato, si siede sul bordo del marciapiede insieme a due poliziotti e si fa offrire una sigaretta. Questa sera è la terza volta che tenta di scavalcare la rete. La polizia ormai lo cono- sce, ma non sa cosa fare per fermarlo. Gli inglesi at- tendono i colleghi francesi, che arrivano, caricano Yasir in auto e lo portano fuori dal porto, verso il centro di Calais. Pont Ventillard, rue de Moscov , e il ragazzo afghano viene rilasciato per strada. «Vengo da un paese a nord di Kabul - spiega Yasir in un inglese stentato - e sono partito da casa ormai da tre anni». Aveva 12 anni, primo di quattro fratelli e una sorella, quando perse il padre ucciso in una spa- ratoria. Decise di partire per raggiungere l’Inghil-
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