Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2011

26 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2011 Così sta scritto I rabbini amano raccontare che quando il sacerdote Melchisedek, uomo senza origini e senza ascendenti, accolse Abramo con i doni del pane e del vino (cf Gen 14,18), lo istruì anche nella Toràh del Signore Dio (cf Gen R 43,6 a 14,18). In questa ampia gamma di simbolo- gia, è logico condividere la conclusione della tradizione giudaica che vede nel monte Sinai la cantina dove Dio ha conservato il vino della Toràh in vista dell’alleanza con Israele quando uscì dall’Egitto. L’espressione della donna del Cantico dei Cantici: «Egli mi ha introdotto nella cella del vino» (Ct 2,4) è interpretata dal Targum (cf Tg Ct 2,4) e dal Midrash (Ct R 1,2.5; 2,4.1; 6,10.1) come il monte Sinai che Yhwh ha adibito a cantina del vino della Toràh. A riguardo abbiamo già scritto nella settima rubrica dedicata alle nozze di Cana: «Il quinto personaggio è il “vino” che è il segno messia- nico per eccellenza. Il midràsh ebraico ( Cantico Rabbà 2,4) equipara la Toràh , cioè la Parola di Dio al vino e il monte Sinai è descritto come la cantina dove Dio, prima ancora della creazione del mondo, ha conservato il vino- Toràh per la festa delle nozze messianiche: “Il Sinai è la cantina dove fin dalla creazione del mondo è stato te- nuto in serbo per Israele il vino delizioso della Toràh . Disse l’Assemblea d’Israele: Il Santo - benedetto egli sia - mi ha condotto alla grande cantina del vino, cioè al Si- nai” (Ct R 2,12; cf Nm R 2,3; Pr 9,5). In Gv 2,10 vi è un ac- cenno a questa cantina, quando il maestro di tavola rim- provera lo sposo di avere conservato il vino eccellente fino ad ora (“tu hai conservato il vino buono [= bello] fino ad ora – sý tetêrekas tòn kalòn òinon éôs àrti ”)» (MC 9 (2009), 22). A questo punto, prima di andare avanti, non è inutile una riflessione attualizzante sullo stato della Chiesa di oggi in rapporto a quanto detto sopra. Dal testo del vangelo apprendiamo che l’espressione assoluta «ve- nuto a mancare il vino» ha un valore universale e quindi può e deve essere applicato anche a noi e al nostro tempo. L’AT aveva il Sinai come «cantina del vino della Parola», preparato prima ancora che Israele uscisse dall’Egitto; secondo altri testi che abbiamo esaminato nelle puntate precedenti, il vino delle nozze di Cana ri- chiama il «vino del Messia», perché i suoi tempi sa- ranno segnati da una abbondanza senza misura. Tutte queste tipolo- gie di vino sono proiettate nel fu- turo, cioè aprono una dimensione non solo di speranza, ma spingono a procedere con lena e passione verso i tempi di domani, perché ci avvicinano sempre di più all’incon- tro con «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1,1-2). (24 - continua) importante perché l’autore lo usa fuori contesto e quindi con un senso universale, così universale che si può applicare a tutta l’umanità: non solo gli sposi, che hanno fatto male i calcoli, ma è l’umanità intera che è carente, manca, ha bisogno del vino nuziale. Per questo motivo rifiutiamo le varianti testuali; «vino non c’è» è solo una costatazione povera del fatto che non si può continuare a fare baldoria perché manca il vino e non ha quindi la stessa forza del testo che sotto- linea la tragedia della situazione: nessuno ha più vino, come a dire «non c’è il Messia» tanto atteso. La madre/Israele non è in grado di dare la gioia della vita (il vino) ai suoi figli. Anche in un’altra circostanza e contesto il popolo sperimenta la mancanza di pane, quando di fronte alle folle che lo seguono, Gesù prende atto che «non hanno di che mangiare» (Mc 8,2) e più avanti i discepoli discutono che «pani non hanno» (Mc 8,16). Pane e vino sono gli alimenti esclusivi del ban- chetto messianico, secondo la regola della comunità di Qumran: «E quando (preparano la mensa per man- giare, o il) mosto (per bere, il sacer)dote sten(derà per primo la mano per benedire le primizie del pane ) e del mosto (…)» (4Q258[4QSd], fr. I col. II [=1QS, V,21-VI,7]). IL VINO DELLA SAPIENZA EUCARISTICA Sia la tradizione biblica che quella giudaica avevano identificato il vino con la Parola di Dio; Donna Sapienza, infatti, «ha preparato il suo vino e ha imbandito la sua tavola» alla quale invita «chi è privo di senno: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato (per voi”» aggiunge la LXX) (Pr 9,2.5). Il Sapiente è colui che si nutre della Parola del Signore perché «nella Toràh del Signore trova la sua gioia, la sua Toràh me- dita giorno e notte» (Sal 1,2; cf Dt 4,5-6; Sal 107,43; 119/118,99…; Gdt 8,26-27.29, ecc.). Il pane e il vino della Sapienza sono quindi la Parola del Signore. Anche nell’Eucaristia, la Chiesa prepara la du- plice mensa del Lògos che carne diventa (cf Gv 1,14) e del vino, alimenti che significano la Shekinàh /Dimora/Presenza della santa Trinità. Il vino preparato dalla Sapienza è quindi il vino della Toràh , cioè la natura stessa di Dio. Nel libro del Siracide la Sapienza che parla in prima persona s’iden- tifica con la vite: «Io come vite ho prodotto splendidi germogli» (Sir 24,17) per concludere che «tutto questo è il libro dell’alleanza del Dio altissimo, la Toràh che Mosè ci ha prescritto, eredità per le as- semblee di Giacobbe» (Sir 24,23). Anche Gesù si identifica con la vite: «Io-Sono la vite vera» (Gv 15,1) e il frutto che egli porta è «l’eucaristia della nuova alleanza (Mt 26,29 e parr.)» (Bibbia-Cei 2008, nota a Gv 15,1) dove si mani- festa la volontà del Padre, cioè la sua Parola, cioè ancora il Figlio come progetto per l’umanità attra- verso Israele e la Chiesa: «In prin- cipio era il Lògos e il Lògos carne fu fatto» (Gv 1,14). L’immagine della vite e della vigna è classica nella Bibbia e si riferisce abitual- mente a Israele (cf Is 5,1; Ger 2,21; Ez 15,2-6; Ez 19,10-14; Sal 80,9- 16). # Le nozze di Cana nell’interpretazione di Isaac Fanous (1919-2007), fondatore della Scuola copta moderna di iconografia.

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