Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2011
Scopro così che si tratta di attivi- sti del Democratic Progressive Party , l’opposizione taiwanese: volantinano e regalano pacchetti di fazzoletti di carta con in bella vista il volto di Tsai Ing-wen, la leader del partito. Girano tra i vari mercati, quando li incontro sono in pausa, in at- tesa della bistecca di pollo: «Non siamo cinesi - specificano -. Ad esempio, non sputiamo, non ab- biamo un partito unico e siamo democratici». Una volta termi- nato il pasto in piedi, mentre os- serviamo la fiumana di gente muoversi in modo agitato tra i vari stand , li seguo nella loro at- tività militante: molte persone si fermano, discutono, altre scuo- tono la testa e affermano di es- sere a favore del Guomindang. La mia presenza sembra aizzare un poco gli animi, specie quando mi viene chiesto da dove arrivo e la risposta include la parola Cina. Molti infatti lasciano briglia sciolte alle peggiori nefandezze contro Pechino. In molti criti- cano il partito di governo, per criticare la Cina. Sono loro, i na- zionalisti taiwanesi, ad avere operato per spingere l’isola sotto il controllo pechinese. «I nazionalisti hanno venduto Taiwan alla Cina», affermano i ragazzi, che sono durissimi verso l’Ecfa: «È un modo come un altro per mettersi nelle mani della Cina e garantire ai ricchi taiwanesi i propri affari». I giovani rappresentano la base, il corpo sociale del partito demo- cratico. Shane Lee, invece, è professore della Chang Jung Christian University di Taipei. Il suo approccio è da intellettuale organico al partito democratico, molto attento alle parole senza evitare però stoccate dure e pun- genti ai suoi avversari politici. È lui che prova a spiegarmi le ra- gioni del malcontento dei demo- cratici rispetto alla nuova piega presa dalle relazioni tra Pechino e Taipei: «L’accordo non favori- sce la nostra industria, la disoc- cupazione salirà e il gap tra i ric- chi e i poveri aumenterà. I ricchi diventeranno sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Spe- riamo che in futuro il nostro go- verno cambi questo approccio di estrema dipendenza dalla Cina. Siamo preoccupati perché ormai 14 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2011 TAIWAN o per Hong Kong. L’Ecfa ha diviso la società civile taiwanese in due tronconi: i favorevoli e i contrari a Pechino. I DEMOCRATICI: NON CI FIDIAMO Esistono ancora forti differenze, ma - come in un gioco di specchi - i taiwanesi si considerano più cinesi degli abitanti continentali. Usano ancora gli ideogrammi tradizionali, si dedicano molto più, almeno in apparenza, al culto dello spirito rispetto agli ipermaterialisti cinesi di oggi. «Noi non sputiamo e siamo edu- cati», mi raccontano alcuni ra- gazzi che incontro in uno dei tanti night market della città. Sono cortesi, felici di poter chiacchierare con uno straniero e parlano un buon inglese. I tai- wanesi mangiano quasi sempre fuori casa, dati i prezzi econo- mici e la diffusione capillare dei mercati all’aperto tra fumi di tofu , salsicce e ogni genere culi- nario. Il piatto forte è una specie di cotoletta di pollo croccante, da avvolgere in un pezzo di carta e mangiare con le mani. Le file sono lunghissime e con la com- pagnia incontrata c’è tempo per scambiare più di una battuta. conosciamo i cinesi: attraverso l’economia cercheranno di strin- gere intorno al nostro collo il nodo politico, finendo per farci perdere le conquiste democrati- che della nostra storia. La no- stra gente è molto preoccupata da questo avvicinamento. Del re- sto la Cina non è mai stata “gen- tile” con noi. Oggi però, secondo i sondaggi, la maggioranza dei taiwanesi è favorevole alle rela- zioni con la Cina sia per que- stioni economiche che militari. Taiwan è militarmente debole e vulnerabile ad eventuali attacchi missilistici di Pechino. Questo lo sanno tutti e tale aspetto rimane una delle principali preoccupa- zioni della popolazione». I NAZIONALISTI: È SOLTANTO ECONOMIA Sun Yang-ming è un ex giornali- sta, vice presidente del Cross- Strait Interflow Prospect Foun- dation , un think tank che esa- mina le relazioni tra Cina e Tai- wan. La sua è la posizione di chi ha lavorato all’accordo e di chi, più in generale, è favorevole a Pechino: «L’Ecfa è importante per entrambi, ma ognuno ha le proprie interpretazioni. Pechino crede che questo sia il momento per andare verso un’intensifica- zione dei rapporti con Taiwan: per i cinesi, l’Ecfa è soltanto il primo passo dei molti che hanno in mente. Noi diciamo un’altra cosa: vediamo come esso fun- ziona, come la gente reagirà, se, soprattutto, sarà utile a risolle- vere la nostra economia. Noi non possiamo andare veloci quanto la Cina. La nostra parola d’or- dine è stabilità. Anche perché, ora come ora, la posizione del nostro presidente è debole: Ma Ying-Jeou paga la crisi e l’Ecfa è una prima risposta». C’è da chiedersi, specie per uno come Sun Yang-ming, molto vi- cino ai teorici statunitensi, cosa pensano gli Stati Uniti dell’ac- cordo economico: «Gli americani - dice ridendo - sono estasiati dall’Ecfa! Erano terrorizzati dai leaders del Partito democratico e dai loro continui balletti e spa- rate mediatiche contro la Cina. Per loro era un problema. Co- munque, anche con gli Usa noi siamo stati chiari: l’Ecfa non è un passo verso la riunificazione po-
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