Missioni Consolata - Maggio 2011

MAGGIO 2011 MC 65 MC ARTICOLI Ci fermano mezz’ora, per con- trollare i nostri passaporti. Finalmente, dopo un’ispezione accurata delle pagine e dei no- stri nomi, ci lasciano andare. Entriamo in un asilo costruito nel 1967 dall’associazione As- sumud, finanziata dall’Olp. Tre classi accolgono circa 80 bam- bini e 4 insegnanti. La giovane direttrice, Hiba, ci conduce in giro per la struttura e ci presenta i piccoli, tutti ve- stiti di azzurro, lindi e ordinati, e molto educati. Nei piani superiori ci sono lo- cali per la formazione profes- sionale dei giovani, con labora- tori di informatica e di altre di- scipline. Burj el-Shamaliy è stato soprannominato «Campo dei Martiri», per l’alto numero di vittime durante il massacro del 1982: 96 morti. Qui ci sono 20mila abitanti e un solo ambulatorio con due me- dici che lavorano quattro ore. Ricevono 400 pazienti al giorno. Danno solo calmanti, per qual- siasi patologia. Il 95% delle me- dicine è a pagamento. Per le malattie croniche è concessa solo una dose al mese, le altre devono comprarsele. Le convenzioni con gli ospedali prevedono solo alcuni interventi chirurgici, ma le strutture meno care hanno posti limitati. Per gli interventi cardiaci, l’Unrwa passa 3.000 dollari, ma il costo è di 6.000. Paradossal- mente, dopo i 60 anni, la cifra si abbassa a 2.000. Il 66,4% dei poveri del campo viene sfamato da associazioni caritatevoli e dall’Unrwa. Que- sta dà 110 dollari all’anno al 12% di loro. Quindi, poco o nulla. AL «BAMBINO FELICE» Ci rechiamo alla scuola materna «Bambino felice». È una strut- tura costruita nel 1992, che ospita 200 bimbi tra i 3 e i 6 anni, divisi in 8 classi. Il nome dell’asilo non deve trarre in inganno: qui manca tutto. Non ci sono giochi, non c’è nulla. Le famiglie devono portare frutta e verdura per la mensa. La retta è di 75 dollari all’anno, ma il 30% dei bambini è esente, perché troppo povero. Un piano della struttura è senza finestre, e d’inverno fa freddo. Entriamo nelle aule, semispo- glie, con bimbi seduti intorno a un tavolo, con un pezzetto di pongo ciascuno che girano e ri- girano tra le dita, mentre ci os- servano con occhioni sgranati, cantando canzoncine di benve- nuto. Non hanno nulla, nem- meno l’essenziale, e ripetono a memoria storie e canti per pas- sare il tempo. Quando, un’ora dopo, usciamo per strada, abbiamo ancora im- pressa negli occhi l’immagine delle loro manine che impastano un pezzo quasi invisibile di pongo, e non riusciamo a non pensare che generazioni e gene- razioni di bambini sono accomu- nati dalla stessa miseria e ingiu- stizia, che li vede prigionieri in campi profughi dove non c’è neanche l’indispensabile. A Sidone i rifugiati sono 120mila: 5.000 vivono a Mi’eh w Mi’eh; 40 mila sono suddivisi tra un quar- tiere della città e raggruppa- menti illegali; 75mila, nel campo di Ein el-Helweh. La maggior parte di loro viene dall’Alta Gali- lea ed è qui dal 1948. Il campo di Ein el-Helweh ci col- pisce per il «clima», caratteriz- zato dalla mancanza di luce na- turale, da molta sporcizia e caos, e da tanta gente, per lo più mili- ziani, che se ne va in giro ar- mata. L’area destinata ai campi è la stessa di 60 anni fa, anche se la popolazione è triplicata. Le case sono una addossata all’altra, il sole non riesce neanche a en- trare. Ci sono vicoli completa- mente bui. Tutto ciò provoca gravi problemi psico-fisici. Ap- pena possono, i ragazzi scap- pano da qui. Ein el-Helweh ha poco del nome che si porta appresso, «L’occhio (o la fonte) della bella». Come tutti i campi, è un posto di grande sofferenza, di prova con- creta, visibile, dell’ingiustizia su- bita dai palestinesi 63 anni fa, quando a centinaia di migliaia vennero espulsi dalla Palestina attraverso massacri e pulizia et- nica, e si rifugiarono in campi profughi allestiti qua e là nel mondo arabo. Libano compreso. Questo luogo, tuttavia, ha una tristezza e una cupezza mag- giori: le persone ci guardano con diffidenza, ci salutano in inglese e non in arabo, come fossimo degli intrusi, e non degli ospiti. In questo campo ci sono stati molti conflitti interni tra le varie fazioni palestinesi, e la presenza di paramilitari palestinesi armati di tutto punto ne è un effetto, e forse pure una causa. Anche qui, come negli altri campi, visitiamo ospedali dove manca quasi tutto, centri assi- stenziali, e incontriamo espo- nenti di Fatah e di Hamas, i due principali movimenti politici pa- lestinesi. I campi profughi sono un esem- pio di come si possa tenere una popolazione in uno stato di mise- ria calcolata, voluta, per indurla ad andarsene quanto prima, ed indubbiamente è stata una stra- tegia vincente, poiché da 400mila il numero di rifugiati è sceso a 250mila. Gli altri sono fuggiti da questo inferno, per cercare accoglienza in Occidente e in altri paesi arabi e islamici. Angela Lano 1 - La catastrofe che portò alla cacciata dei palestinesi dalla loro terra nel 1948. NOTE

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