Missioni Consolata - Maggio 2011

26 MC MAGGIO 2011 Così sta scritto da discepoli: il termine «apostolo» pertanto appar- tiene alla funzione del dopo pasqua che i discepoli ri- ceveranno dal Cristo risorto (cf Brown, Giovanni , 127). In questo modo è evidente che il personaggio princi- pale è Gesù e che entra per la prima volta in scena con la solennità quasi di un ingresso trionfale. La frase infatti mette bene in evidenza che sposalizio e madre sono momenti di contorno alla figura centrale di Gesù e, come vedremo fra poco, diventa il perno at- torno a cui tutto ruota. È questo il punto centrale del racconto: come il Lògos ha fatto irruzione nella Sto- ria, diventando «carne» cioè fragilità e debolezza, così ora Gesù di Nàzaret entra nella storia di Israele alla guida di un popolo rinnovato, simboleggiato dai «di- scepoli». In questo modo l’autore mette in evidenza per contrasto un altro fatto: la madre era già «nello» sposalizio che appartiene al tempo dell’AT. L’arrivo di Gesù è uno spartiacque tra un «prima» e un «dopo». Ciò che è «prima» era una preparazione, per- ché quello che accade «dopo», cioè adesso , è una no- vità che dà inizio a una svolta irreversibile. La madre vive e agisce «dentro» le antiche nozze perché appar- tiene all’alleanza sinaitica, simbolo ed emblema di Ge- rusalemme, «vedova» dello sposo. Nel racconto non si fa alcun accenno a Giuseppe che probabilmente era già morto, per cui la madre è «veramente vedova», senza sposo, in attesa della redenzione del suo popolo. Gesù è il Messia che entra nelle nozze del popolo d’I- sraele, le nozze dell’alleanza del Sinai che sono state tradite innumerevoli volte. Egli non appartiene a que- ste nozze perché «è chiamato/invitato», è solo un ospite che non viene dal passato, ma giunge dal fu- turo, insieme ai suoi discepoli che assumono la sim- bologia del nuovo popolo nuziale che si prefigura nei Gentili che lo accoglieranno, a differenza dei «suoi» che lo rifiuteranno (cf Gv 1,11), mentre Gesù viene a portare «una nuova ed eterna alleanza» (Ger 31,31) che non avrà mai fine. La madre rappresenta la sposa/popolo che ha finito il vino del patto e della speranza, vedova e con i figli lontani dal cuore della Toràh , anche se pieni di precetti e di osservanze e ri- tuali. Gesù invece viene da un «altro mondo», il mondo del Padre che lo ha «mandato alle pecore per- dute della casa di Israele» (Mt 15,24). Bisogna stare attenti quando leggiamo la Scrittura perché in essa anche «uno iota» ha 70 significati che non devono essere lasciati cadere nella banalità o peggio nel vuoto (cf Mt 5,18). Per questo è necessario prestare attenzione anche alla collocazione delle sin- gole parole del testo se vogliamo cogliere l’intenzione dell’autore. Quanto abbiamo espresso nello schema non è un capriccio, ma è provato da altri elementi che lo stesso autore ci suggerisce, perché per introdurre Gesù nella scena della storia della nuova alleanza non usa un verbo qualsiasi, ma lo prende in prestito dalla Bibbia greca della LXX, quando presenta Mosè che «il Signore chiamò/convocò» sul monte Sinai e che ab- biamo già illustrato nella 7 a puntata (MC 9/2009, p. 21) e che riprenderemo in parte per comodità. (22 - continua) 1° livello 2° livello 3° livello linea principale linea secondaria discorso diretto (imperativo) «Quando “nel principio del-Dio-creò-il cielo-e-la-terra”, e la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque, 3 disse Dio: “Sia la luce!”. E fu luce ». Se dallo schema di Gv 2,1-2 che abbiamo presentato, togliamo il versetto 1, il senso del racconto scorre pieno perché la notizia che interessa è che Gesù fu in- vitato . Per capire la portata di questo invito, al lettore si forniscono alcune notizie di corredo che servono ad ambientare l’azione e a metterla in contrasto con le altre due notizie: l’occasione di un matrimonio e la madre di Gesù che era già presente «prima» dell’ar- rivo di Gesù. Traduciamo il testo come abbiamo fatto per l’esempio della Genesi, al fine di farne capire i problemi di linguistica che ci permettono di coglierne il senso profondo: «Nel terzo giorno, mentre a Cana di Galilea si celebrava uno sposalizio e c’era la madre sua, fu invitato alle nozze anche Gesù insieme ai suoi discepoli». DISCEPOLI, NON APOSTOLI Tutti comprendono subito che l’intento dell’autore è mettere in contrasto e stridore le nozze già in corso e la presenza della madre da una parte con l’arrivo e la presenza di Gesù con i suoi discepoli dall’altra. Per la prima volta infatti, dal vangelo di Giovanni, veniamo a sapere che Gesù ha alcuni discepoli perché nel capi- tolo precedente non è detto da nessuna parte, mentre sappiamo che alcuni discepoli di Giovanni il battez- zante vanno da Gesù e s’interessano alla sua vita (cf Gv 1,35-51). È interessante questa osservazione per- ché l’autore parla di «discepoli – math ē tài» e non di «apostoli – apòstoloi », termine che per altro Gv nel vangelo non usa mai tranne una volta (cf Gv 13,16), a differenza degli altri Sinottici, specialmente Luca per il quale invece è un termine abituale (cf Lc 6,13; 9,10; 11,49; 17,5; 22,14; 24,10). Il vocabolo «discepolo» in tutto il NT ricorre almeno 266 volte di cui 77 volte solo nel vangelo di Giovanni, cioè quasi un terzo. L’uso di questo termine è una spia che l’evangelista si colloca sul versante della storia, perché intende raccontarci non una riflessione, ma un «fatto», perché il termine «apostolo» è di uso postpa- squale, mentre il discepolo è una realtà storica molto diffusa al tempo di Gesù, che pullulava di rabbi seguiti # Gesù e i discepoli alle nozze di Cana (tappeto settecentesco nella navata del duomo di Strasburgo).

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