Missioni Consolata - Maggio 2011

THAILANDIA 12 MC MAGGIO 2011 blindare a suo favore. Questo partito, il più antico del paese, fondato negli anni Trenta, è oggi guidato da Abhisit Vejjajiva, nem- meno cinquantenne. Nato in Gran Bretagna ed educato a Oxford, per uno strano avvitamento della storia, è toccata a lui la responsa- bilità di decidere una repressione sanguinosa senza averne pagato almeno finora lo scotto con le di- missioni o l'esilio, altra prassi nella tormentata storia del paese. CAMICIE ROSSE E CAMICIE GIALLE Quanto all’opposizione, il refe- rente politico delle Camicie rosse, il Puea Thai (erede del Thai rak thai, fondato dal magnate delle te- lecomunicazioni ed ex primo mini- stro Thaksin Shinawatra e sciolto dopo il golpe), è un partito di scarsa credibilità democratica. Come il suo ispiratore, alla fine. Thaksin, esiliato dal colpo di stato militare del 2006, già condannato a due anni di carcere per abuso di potere, sarebbe un personaggio come tanti, nella politica del conti- nente asiatico, se non fosse per un elemento fondamentale: è stato l'unico a dare a molti milioni di thailandesi l'illusione di potere uscire dalla loro situazione, che non è solo di povertà, ma anche e soprattutto di mancanza di pro- spettive e opportunità. I thailan- desi che lo avevano mandato al potere una prima volta nel 2001 e lo hanno votato nuovamente (con una maggioranza schiacciante) a fine 2005, hanno voluto credere nella sua propaganda e negli ideali espressi dalla sua politica, perché di quegli ideali nessuno aveva mai parlato come lui, con una vasta semina di opportunismo e populismo, ma sostenuto anche da azioni concrete, seppure pa- gate con il denaro pubblico. Come il ticket per accedere agli ospedali: poco più di mezzo euro per disporre di visite mediche e medicinali essenziali, prima irrag- giungibili, non sufficienti per cure concrete, ma abbastanza per sa- pere contro quale male combat- tere. Oppure il milione di baht (circa 23mila euro al cambio at- tuale) donato a ciascun villaggio – almeno nelle aree che lo hanno votato - per opere pubbliche. Con- cessioni che poco hanno influito sulle drammatiche disparità di questo paese. Tuttavia, il suo po- tere è cresciuto fino al punto da sfidare le massime istituzioni del Regno. La reazione dei vecchi cen- tri di potere non si è fatta atten- dere, propiziata anche dalla di- scesa in piazza delle Camicie gialle, che due anni dopo sareb- bero state responsabili della cla- morosa occupazione degli aero- porti di Bangkok per far cadere il governo filo-Thaksin (intanto finito esule all'estero) eletto libera- mente pur sotto un nuova costitu- zione dettata dai militari golpisti. IL MIGLIORE DEI MONDI? CORRU- ZIONE, MISERIA, INGIUSTIZIA Dietro il sorriso da dépliant turi- stico, la Thailandia nasconde un'ampia realtà di miseria e in- giustizia. Il sistema elitario e paternalistico che la governa ha cercato per de- cenni di convincere i thailandesi che vivono nel migliore dei mondi possibili e insieme ha negato alla maggioranza una prospettiva di miglioramento dalla propria con- dizione originaria. Disinteresse e tolleranza hanno convinto molti che l’unico mezzo per uscire dallo stato di arretratezza e sottomis- sione fosse un arricchimento ra- pido: con quali mezzi, lo testimo- niano insieme la realtà dei quar- tieri dedicati allo svago a Bangkok, Pattaya, sulle isole di Phuket e Koh Samui. Con quali risultati è evidente nella quantità di beni di consumo, motociclette, auto e alcool che affluiscono verso le campagne senza un si- gnificativo aumento della scola- rizzazione, del risparmio, della coscienza politica. La crisi del paese non è conseguenza della protesta, ma ne è ragione e sfondo. Purtroppo in questi ultimi anni, dal colpo di stato militare (sostenuto in primo luogo da ari- stocrazia, settori della monar- chia, élite urbane di Bangkok), che ha costretto Thaksin a la- sciare il potere, la situazione è, se possibile, peggiorata. La corru- zione colpisce a tutti i livelli della società e coinvolge profonda- mente le istituzioni. Quella coinvolta in questa situa- zione è una Thailandia unita dal- l’orgoglio nazionalista e dalla monarchia, ma nettamente divisa in due da necessità e possibilità con un divario crescente fra be- nessere e miseria. A questo punto il paese si trova a un bivio e a fare da spartiacque non sarà più il tradizionale «me- diatore» militare. Nessuno crede più che gli uomini in divisa, ge- stori di vasti interessi economici di fatto senza controllo da parte dell'autorità civile, che al governo impongono congrui versamenti di bilancio in cambio di protezione dagli oppositori e che non con- trollano una limitata insurrezione islamista nel Sud, possano es- sere credibili gestori del paese. Un ulteriore golpe, il 21° in 90 anni, non sarebbe accettato dalla popolazione, ma anche dalla classe politica e imprenditoriale che già lotta con crisi globale e incongruenze locali e certamente non dalla diplomazia internazio- nale, i cui rapporti con Bangkok hanno visto nell'ultimo anno mo- menti tesi. Una diplomazia che osserva con attenzione le mosse di chi gestisce questo paese se- condo logiche accettabili all'in-

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=